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Bonifiche dell’ex Snia, il colosso LivaNova pagherà 453 milioni

di Ivano Tolettini -


Una sentenza storica che si trasforma in una stangata da quasi mezzo miliardo di euro per la multinazionale LivaNova PLC, quotata al Nasdaq, che sarà chiamata a bonificare gli storici siti chimici italiani ex Snia, poi Sorin, fusasi nel 2015 con l’americana Cyberonics di Huston, dando vita appunto a LivaNova con sede legale a Londra. Si tratta dei poli industriali di interesse nazionale a Brescia, Torviscosa (Udine) e Colleferro (Roma). Due anni giusti dopo che la Cassazione civile aveva investito la Corte di Giustizia Europea del quesito se deve rispondere sul piano patrimoniale anche la nuova società beneficiaria (Sorin spa), costituitasi mediante scissione nel 2003 quale “elemento passivo” non attribuito al progetto industriale medicale nato da una costola di Snia, il collegio con sede in Lussemburgo ha stabilito che LivaNova PLC dovrà mettere mano in solido alla bonifica.

La bomba ambientale, o “cancro per la città” come l’ha definita il Procuratore capo di Brescia, Francesco Prete, quando nel 2021 ottenne il sequestro alla Caffaro Brescia, che negli ultimi anni d’attività era stata gestita dall’imprenditore pisano Antonio Donato Todisco ora a processo con i suoi manager per la presunta corresponsabilità nel disastro ambientale, non è ancora stata disinnescata. I costi fin qui sono stati ingentissimi per lo Stato, che ha versato 110 milioni di euro per impedire che la città e il territorio fossero ancora più inquinati con potenziale grave nocumento per la cittadinanza. L’indennizzo maggiore dei 453 milioni che dovrà sborsare LivaNova, dopo che però dovrà pronunciarsi un’altra sezione della Suprema Corte, sarà destinato a Brescia, 250 milioni di euro, mentre altri 117 milioni sono destinati alla bonifica dell’area industriale Caffaro di Torviscosa e i residui 86 milioni per la messa in sicurezza nella valle del fiume Sacco nella provincia romana a Colleferro, dove sorgeva il polo chimico ex Snia.

VINCOLO GIURIDICO – La sentenza della Corte di Giustizia Europea fa seguito al verdetto della Corte d’Appello di Milano del 2019, che ribaltava quella del tribunale di Milano, con la quale respingeva tutte le domande del ministero dell’Ambiente, della Tutela del Territorio e del Mare, del ministero dell’Economia e delle Finanze e della Presidenza del Consiglio dei ministri. Pertanto, i giudici d’appello condannavano LivaNova Plc, già Sorin spa, entro il limite dell’attivo conferito per effetto della scissione societaria, a rimborsare le spese per la bonifica primaria e compensativa del danno ambientale causato dalle attività delle aziende riconducibili all’ex gruppo Snia, quantificandolo complessivamente in 453 milioni di euro, di cui 156 milioni da restituire “allorché le concentrazioni di contaminanti nei relativi acquiferi fossero scese sotto i limiti di legge”. LivaNova proponeva ricorso per Cassazione contro la sentenza non definitiva e la Sezione 1^, presieduta da Carlo De Chiara, il 5 ottobre 2022 chiedeva di pronunciarsi alla Corte di Giustizia con sede nel Lussemburgo.

LA RESPONSABILITA’ – Il nocciolo in diritto del provvedimento europeo 642/24 che autorizza la giurisdizione italiana a chiamare in casua LivaNova, presieduta da William Cozy e di cui è ceo Vladimir Makatsaria, è che la “scissione societaria non può essere un mezzo per sottrarsi alle conseguenze degli illeciti commessi da un’impresa, a spese dello Stato o di altri soggetti”. “La regola della responsabilità solidale delle società beneficiarie – si legge nelle motivazioni – si applica non soltanto agli elementi di natura determinata del patrimonio passivo non attribuiti in un progetto di scissione, ma anche a quelli di natura indeterminata, come i costi di bonifica e per danni ambientali che siano stati constatati, valutati o definiti dopo la scissione di cui trattasi”. Del resto, se questo ragionamento giuridico non fosse congruo, accadrebbe che la “scissione potrebbe costituire un mezzo per un’impresa per sottrarsi alle conseguenze degli illeciti da essa eventualmente commessi, a discapito dello Stato membro interessato o di altri eventuali interessati”. Il che non fa una grinza sul piano del principio giuridico. Dunque, la multinazionale del settore medicale dovrà risarcire lo Stato Italiano per il danno ambientale nei tre siti della chimica di base.


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