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L’Italia del pane: i consumi sono però la metà della Romania

di Angelo Vitale -


Italia Paese del pane – 250 tipologie, patrimonio anche culturale dei territori -, ma i consumi sono in calo. Sono 190 i mulini che nel nostro Paese trasformano oltre 5,6 milioni di tonnellate di frumento tenero dai quali si ottengono circa 4,2 milioni di tonnellate di farine destinate, in misura del 56%, cioè circa 2,4 milioni di tonnellate, alla produzione di pane e prodotti similari.

Ma il consumo annuo pro capite di pane – avverte Italmopa, l’associazione Confindustria di settore – è di circa 41 Kg, un quantitativo nettamente inferiore a quello registrato in tutti gli altri principali Paesi europei, la Romania per esempio registra un consumo annuo di pane quasi doppio al nostro, pari a 74 kg pro capite.

Una trasformazione degli stili di vita e della dieta nelle famiglie, certo, ma i problemi sono anche altri. Rimangono alte le tensioni sui prezzi delle farine che oggi, nonostante il calo registrato dopo il picco del 2022 successivo allo scoppio del conflitto russo-ucraino e all’impennata delle forniture energetiche, continuano ad essere alti. Aumenti che si sono riflessi sui prezzi al consumo, in alcune regioni rimasti invariati verso l’alto negli ultimi due anni.

Non va meglio sul fronte del frumento tenero utile alla produzione. Italmopa nella scorsa estate faceva rilevare che la produzione nazionale “dovrebbe nuovamente scendere sotto 3 milioni di tonnellate rispetto ad un fabbisogno interno di oltre 8 milioni di tonnellate, di cui 6,5 destinate all’industria molitoria” e che in questo scenario “le importazioni, che già storicamente costituiscono il 65% del fabbisogno nazionale totale in frumento tenero e che provengono essenzialmente da Paesi comunitari, presenteranno nel 2025 e più che in passato, carattere di assoluta e indispensabile complementarità rispetto all’offerta nazionale”.

In questo scenario, fin dallo scorso anno, dal mondo dell’agricoltura, specie del Sud, erano arrivate clamorose denunce – perfino eclatanti, nei porti – sull’incontrollato arrivo di grano russo, bielorusso, turco e anche kazako in Italia.

“Dopo l’invasione illegale dell’Ucraina da parte della Russia – recitava un’interrogazione presentata nell’aprile scorso in Europa – l’Ue ha adottato 13 pacchetti di sanzioni che impongono misure restrittive per un valore stimato di 91,2 miliardi di euro di merci precedentemente importate dalla Russia. Tuttavia, alcune merci riescono ancora a entrare nel nostro mercato interno, o perché eludono le sanzioni o perché non figurano nell’elenco dei prodotti vietati. Tra queste vi è il grano duro russo, che continua a entrare nel mercato dell’Ue, specialmente attraverso l’Italia. Secondo alcuni dati, dal 2023 le importazioni di grano duro russo in Italia hanno subito un’impennata arrivando al 1.164 % rispetto all’anno precedente, il che fa della Russia il principale fornitore di grano duro dell’Italia. L’afflusso massiccio di grano duro importato dalla Russia a prezzi bassissimi ha un impatto distorsivo sul mercato italiano, costringendo i produttori italiani a ridurre il prezzo di vendita dei loro prodotti per rimanere competitivi”.

Interrogazione cui l’allora commissario per l’agricoltura Ue Janusz Wojciechowski rispondeva riferendo che l’Ue nel marzo scorso aveva proposto un aumento dei dazi sulle importazioni dei cereali da Russia e Bielorussia e che la Russia aveva pure introdotto un divieto temporaneo di esportare grano duro da dicembre 2023 al 31 maggio 2024.

In Italia, intanto, l’anno scorso il ministro per l’Agricoltura Francesco Lollobrigida aveva varato una Cabina di regia per incentivare i controlli sulle infiltrazioni di grano estero in Italia. In tutto questo 2024 non c’è stata notizia di particolari azioni messe in campo: il prossimo report di fine anno dell’Ispettorato frodi potrà forse darcene notizia.


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