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Tragedia a Senigallia: “Gli adulti sottovalutano che il 15enne bullizzato può ricorrere al suicidio”

di Ivano Tolettini -


“Gli adulti sottovalutano che un 15enne bullizzato può ricorrere al suicidio. L’esperienza di chi vive a contatto con gli adolescenti purtroppo lo insegna. Certi segnali devono far alzare il livello di sensibilità degli operatori scolastici e dei genitori. La tragica storia di Leo impone di interrogarci ancora una volta sul ruolo preventivo alla scuola. Come? Dando gli strumenti del pensiero e offrire ai ragazzi informazioni chiare, perché se le hanno le possono usare rivolgendosi alla persona di riferimento, altrimenti rischiano di rimanere sopraffatti dal malessere com’è accaduto a Senigallia. Ma non è un episodio isolato, chi lavora con gli adolescenti si rende conto del disagio latente”.

Sono accorate le parole dello psicologo e psicoterapeuta veneto Lino Cavedon, 73 anni, una vita trascorsa in mezzo agli studenti anche come responsabile di un consultorio familiare, oltre che per avere affiancato gli insegnanti ad affrontare le tematiche della fragilità degli adolescenti dopo episodi drammatici. Il suicidio di Leonardo ripropone interrogativi a vari livelli. A cominciare dalla scuola, fondamentale agenzia di formazione e socializzazione per gli adolescenti, subito dopo la famiglia.
Il ministro dell’Istruzione Valditara afferma che “non possiamo tollerare che il bullismo diventi un tratto di una certa gioventù”.

Sottoscrivo, ma bisogna partire dal presupposto che tra gli adolescenti, soprattutto per chi frequenta un istituto professionale, è molto diffuso il mito della forza fisica come risolutrice del confronto, perché le problematiche emotive vengono gestite attraverso il corpo. Succede poi che i bulli scelgono in modo mirato un determinato compagno perché fiutano la sua fragilità. I bulli hanno la capacità di individuare il compagno più predisposto al ruolo di vittima, e a volte quest’ultima, involontariamente, soddisfa il bisogno di sopraffazione altrui.

Che ruolo dovrebbe avere, dott. Cavedon, la scuola nel prevenire questi fenomeni estremi?
Ogni scuola dovrebbe disporre di un professionista cui i ragazzi, periodicamente (una volta la settimana?), si possono rivolgere. Uno sportello psicologico cui lo studente può confidare le proprie ansie e i timori. Tante scuole l’hanno attivato, ma spesso non è un’offerta istituzionale stabile, perché è legata a finanziamenti e ad iniziative di dirigenti, la stragrande maggioranza dei quali è sensibile a queste problematiche.
Lei insiste molto sul concetto di “informazioni chiare”.
L’adolescenza è l’età in cui si struttura l’identità dei ragazzi e vanno informati perché altrimenti le cose le apprenderanno in maniera sbagliata da compagni e amici. Se a una ragazzina spiego le modalità per avere rapporti sessuali protetti e che se qualora rimanesse incinta ha 90 giorni per interrompere legalmente la gravidanza, la metto di fronte a una responsabilità. La faccio crescere. Gli adolescenti devono essere educati ad allenare le strategie di difesa e gli anticorpi dentro di sé. Se sei troppo fragile a 15 anni può anche voler dire che sei cresciuto in un ambiente che forse non ti ha fatto fare determinate esperienze, che non ti ha restituito quel vissuto di forza, adeguatezza e autonomia necessari a rapportarti con individui arroganti e violenti che ognuno di noi può avere incontrato.
Nella triste vicenda di Leo che cos’altro legge?
Che non ha voluto fallire nemmeno nel momento in cui ha deciso di suicidarsi. Spesso i ragazzi ricorrono a farmaci od altro per lanciare i segnali del disagio, invece uno che si spara è sicuro di morire. E questo mi porta a dire che la modalità scelta rispecchia il bisogno di avere successo in questa iniziativa. Purtroppo come la cronaca di questi giorni insegna, c’è il ricorso alla violenza sistematica, basti pensare al 19enne di Rozzano, nel Milanese, che ha ucciso per rapinare un paio di cuffie del valore di 15 euro. Concordo col ministro Valditara quando sostiene che “è importante ripristinare, proprio a partire dalla scuola, alcuni principi, quali il rispetto delle regole, il valore assoluto della persona umana, la responsabilità individuale”, ma la scuola è il macrocosmo sociale in cui allignano le tensioni che dalle famiglie si ribaltano sui ragazzi. Bisogna invogliarli a chiedere aiuto, ma è doveroso offrire loro strumenti psicologici adeguati per ascoltarli”.


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