Economia

Manovra 2025: calcio d’inizio tra bonus, banche e pensioni

di Giovanni Vasso -

Palazzo Chigi durante il vertice di maggioranza di governo con la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, Roma, 30 agosto 2024. ANSA/ANGELO CARCONI


Manovra 2025, ci siamo. Doveva essere una questione burocratica, giusto per tenere a bada Bruxelles e rispettare le scadenze dell’Ue, invece il governo ha pigiato forte sull’acceleratore: la manovra è finita al centro dell’agenda del consiglio dei ministri che s’è riunito ieri sera a Palazzo Chigi. Ma dal centrodestra giurano: nessuna forzatura, il piano è pronto e le cifre ci sono. Quindi, accanto al documento programmatico di bilancio, la cui redazione ed approvazione erano espressamente richiesti dalla Commissione entro la giornata di ieri, s’è dato l’ok allo schema di manovra. Che, chiaramente, non è (ancora) definitivo dal momento che dovrà passare al vaglio delle Camere. Intanto le cifre: l’intera manovra dovrebbe pesare intorno ai 25 miliardi di euro, nove dei quali in deficit. Confermate, come da copione, le misure legate al taglio del cuneo fiscale e allo sfrondamento dell’Irpef per il ceto medio. Che diventano strutturali. A questo proposito, l’obiettivo che si è dato il governo è quello di abbassare di qualche decimo di punto percentuale la pressione fiscale. Le previsioni parlano di portarla, dal dato tendenziale attuale del 42,8%, al 42,3% già quest’anno, poi di ridurla fino al 42,1% nel 2025. Fondi e investimenti, inoltre, saranno garantiti a sostegno della maternità e della natalità con l’opzione del nuovo assegno unico e della decontribuzione per le madri di almeno due figli. Fin qui ciò che già si sapeva e che, in fondo, ci si aspettava. Il vero rebus era altrove. Nella ricerca delle risorse. Una sorta di equilibrio s’è trovato, in seno al governo, con l’ipotesi dei tagli ai ministeri da cui dovrebbero arrivare risparmi pari ad almeno tre miliardi di euro. Tuttavia, il Mef ha garantito una certa flessibilità nell’applicazione del ridimensionamento della spesa. Il tema, vero, era un altro. Quello relativo alle banche. L’accomodamento s’è trovato attorno alla decisione di non applicare alcuna tassa sugli extraprofitti degli istituti di credito né, tantomeno, di creare dal nulla nuove imposte a carico delle banche. Sarebbe stata esclusa, così come auspicato proprio dal settore creditizio, l’ipotesi di un aumento di Irap o Ires. La proposta verterebbe, invece, su una rimodulazione della tassazione sulle stock options accompagnata dall’applicazione delle cosiddette Dta, le imposte differite attive. Il flusso di denaro che il governo si aspetta dal contributo delle banche ammonta, come riferito dal vicepremier Antonio Tajani che ha sostanzialmente confermato le indiscrezioni che si sono rincorse per tutta la mattinata di ieri, attorno a un range variabile fra i tre e i quattro miliardi di euro. Ma alle banche la “narrativa” sorta attorno alla vicenda non va giù. Il presidente Abi Antonio Patuelli, confermando di essere d’accordo con il ministro Giancarlo Giorgetti sull’applicazione dell’articolo 53 della Costituzione che impone contributi maggiori a chi ha una capacità fiscale maggiore, mette in guardia da “una contrapposizione novecentesca” rigettando una contrapposizione “tra operai e banche”. Tuttavia le parole lasciano il tempo che trovano: per tutta la giornata gli sherpa hanno tentato di tessere un dialogo tra le parti per evitare rotture e per trovare una soluzione al rebus che possa reggere (anche) al dibattito in Parlamento. In vista del quale le opposizioni già si riscaldano. C’è il (grande) tema della sanità. Il ministro Orazio Schillaci ritiene che saranno messi a disposizione dalla manovra 2025 fondi per (almeno) 3,2 miliardi di euro che consentiranno di avviare un piano triennale di nuove assunzioni sanitarie negli ospedali e di fare fronte al piano pandemico da approntare mentre il collega alla Pa, Paolo Zangrillo, ha ribadito, insieme alla volontà di ragionare con le banche e “di non adottare decisioni imperative”, che si auspica di poter contare su risorse utili ad avviare per il piano di potenziamento dell’amministrazione pubblica fino al 2027. Inoltre ha rassicurato i cittadini escludendo “brutte sorprese” dal testo della manovra e ha confermato l’idea di “trattenere” (sempre su base volontaria) i dipendenti che sceglieranno, con il rafforzamento del cosiddetto bonus Maroni, di non andare in pensione ma di restare in servizio fino a 70 anni. Per quanto riguarda le pensioni, inoltre, verrebbe da subito confermata la perequazione e gli adeguamenti. Una circostanza, questa, che è stata asseverata, ancora una volta, dallo stesso vicepremier Antonio Tajani.

L’iter della manovra 2025, dunque, è iniziato. Dopo l’ok dal consiglio dei ministri, la palla passerà al Parlamento e a Bruxelles che dovrà valutare le scelte in riferimento al nuovo Patto di stabilità. La sfida non è terminata ma, per Giorgetti, è appena iniziata.  


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