Gravi indizi di reato

Il delitto di Vittoria Nicolotti: un mistero torinese tra amore e morte

di Francesca Petrosillo -


Nell’agosto del 1930, Torino è stata scossa da un macabro delitto: la morte di Vittoria Nicolotti, una modista trentenne, ritrovata senza vita nel suo appartamento di corso Oporto, oggi corso Matteotti. Vittoria, donna riservata e solitaria, conduceva una vita tranquilla: viveva da sola, lavorava in un negozio di biancheria e non aveva legami sentimentali noti.

La mattina della sua morte la portinaia dello stabile e una vicina trovano la porta di casa socchiusa e scoprono il corpo della giovane steso sul letto, con segni evidenti di una violenta lotta e di uno strangolamento.
Non vi sono segni di effrazione e la violenza dell’aggressione suggerisce che l’assassino conosceva la vittima. Le prime indagini, guidate dal cavalier Ciminelli, si concentrano su amici e parenti. Presto emerge un nome, quello di Rosa Vercesi, una donna molto diversa dalla vittima per carattere e stile di vita. Era conosciuta per la sua personalità esuberante e ambiziosa. Proveniente da un ambiente umile, Rosa aveva cercato con ogni mezzo di migliorare la propria condizione economica, arrivando a frequentare anche ambienti poco raccomandabili.
Più testimoni affermarono che Vittoria Nicolotti avesse trascorso la sua ultima serata proprio in compagnia di Rosa. La polizia si presenta così a casa della Vercesi, trovata malconcia e con ferite goffamente giustificate. Viene arrestata e accusata di omicidio volontario. Durante il processo, Rosa peggiorò ulteriormente la sua posizione, comportandosi in modo teatrale e confuso.

Tuttavia, il vero enigma del caso non riguarda tanto la responsabilità dell’omicidio, quanto il movente. In una Torino controllata dal regime fascista e profondamente moralista, nessuno osava parlare apertamente di quello che sembrava essere il vero legame tra Vittoria e Rosa: una relazione amorosa segreta. L’accusa evitò di menzionare questo elemento scottante, preferendo inquadrare l’omicidio come un crimine a scopo di rapina. In realtà, le due donne si amavano da anni.

Nonostante la verità sul loro legame, Rosa ha preferito il silenzio: condannata all’ergastolo nel 1932, trascorse quasi trent’anni in prigione. Liberata nel 1960, trovò un mondo completamente cambiato. Il regime fascista era crollato, l’Italia era in piena modernizzazione, ma nessuno si ricordava più di lei o del suo delitto. Rosa è morta nell’anonimato nel 1981, portando con sé il segreto di un amore impossibile, sacrificato alla morale del tempo.


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