Bonifiche dei siti contaminati, la Corte dei Conti: Sono 35mila, tutto da rifare
Siti contaminati da bonificare, tutto da rifare. I Siti di interesse nazionale, i Sin, le aree del territorio italiano gravemente contaminate, “richiedono un’azione congiunta sia a livello nazionale che regionale, con interventi urgenti di messa in sicurezza e bonifica da effettuare con investimenti adeguati, una migliore collaborazione tra enti e una solida gestione dei dati, considerati i gravi rischi sanitari, ecologici e socio-economici” che comportano. La Corte dei Conti, con una delibera di 106 pagine, interviene su una questione scottantissima, spesso fonte di polemiche e proteste sui territori e, nonostante questo e il notevole impegno economico negli assicurato per le bonifiche, frequentemente trascurata anche – la Corte lo dice – per l’intreccio di competenze che talvolta interviene sui luoghi.
La Corte suggerisce la costituzione di Unità operative regionali specializzate per garantire supporto alle attività tecniche di bonifica, maggiore trasparenza e il coinvolgimento delle comunità locali. Una ricetta sicuramente nota e pure possibile ma fin qui mai messa in atto.
Le premesse delle conclusioni della Corte dei Conti sono amare e a dir poco sconfortanti. Complessivamente i siti interessati da procedimenti di bonifica a livello nazionale sono circa 35mila. Di questi circa 16mila sono tuttora attivi. Tuttavia, più della metà dei procedimenti attivi (il 56%) si trova soltanto nella prima fase, quella relativa alla attivazione del procedimento: si tratta principalmente di siti il cui stato della contaminazione non è noto o lo è ancora in modo preliminare.
La maggiore criticità è costituita “dall’assenza di coordinamento fra i procedimenti relativi alla bonifica dei siti contaminati ed alle previsioni in materia di tutela risarcitoria contro i danni all’ambiente, procedimenti che vengono attivati — contestualmente o, in taluni casi, in tempi diversi – a seguito di fenomeni di inquinamento”.
E poi arriva, sul versante delle azioni finora messe in campo, perfino la bocciatura del Pnrr: concentrato “solo sui cosiddetti “siti orfani” (quelli dalla finora difficile identificazione dei responsabili, per i quali l’attuale governo ha accelerato il via di finanziamenti per 500 milioni di euro, ndr), non sembra effettivamente essere all’altezza della situazione”.
Da non dimenticare, in questo scenario, la vera e propria “rogna” rappresentata dal pressing dell’Europa: “Una delle procedure più onerose per lo Stato italiano è quella che ha previsto la sua messa in mora per la non corretta applicazione delle direttive sui rifiuti, sui rifiuti pericolosi e sulla regolarizzazione delle discariche: la Corte di giustizia Ue nel 2014 ha condannato l’Italia a pagare una sanzione semestrale iniziale di 42 milioni e 800mila euro, poi ridotta, dopo sette anni di lavoro da parte prima del ministero della Transizione Ecologica e poi del commissario di Governo, a 5 milioni e 800mila euro. Essa riguardava 200 discariche”.
Ciliegina su questa torta rancida, la “carenza strutturale” di personale, resa nota alla Corte dei Conti da una memoria ministeriale: ad occuparsi nella Capitale di siti contaminati e “siti orfani” solo 3 funzionari di ruolo del ministero dell’Ambiente e 14 unità di assistenza tecnica Sogesid (la società in house del ministero), un altro funzionario di ruolo, una ultima unità di assistenza tecnica Sogesid.
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