Mario Acampa: dal teatro alla tv e viceversa: come nasce lo spettacolo colto e divertente
Oltre 10 minuti di applausi al Teatro alla Scala di Milano per la regia del Cappello di Paglia, mentre da 15 anni continua a collezionare un successo televisivo dietro l’altro come conduttore in Rai. Ha un percorso atipico e allo stesso tempo brillante, Mario Acampa, che poco prima di Natale, il 22 dicembre, dirigerà Lo Schiaccianoci con l’Orchestra Nazionale Sinfonica della Rai.
Mario Acampa, come nasce questo prestigioso coinvolgimento come regista del Cappello di paglia?
Il Teatro alla Scala è diventato casa da ormai quattro stagioni. Ho debuttato qui come regista e autore 3 anni fa col primo spettacolo per la serie “Lalla e Skali”, ovvero i concerti per famiglie che ho ideato per la Scala e che ancora oggi continuano. Un giorno, alla fine di una riunione, il sovrintendente Meyer mi chiese di rimanere seduto insieme al resto della direzione artistica. Sentirsi chiedere l’onore di fare una regia nel Tempio della musica è un momento indimenticabile. Arrivavo dallo splendido debutto di una mia regia al teatro antico di Taormina e da anni di spettacoli in tutta Italia, ma debuttare alla Scala è un privilegio senza eguali.
Dieci minuti di applausi per la prima alla Scala: cos’ha rappresentato, per te, un riscontro di questa portata?
Quando elaboro una regia mi preoccupo principalmente di fare scelte coerenti. Il rispetto con cui mi pongo nei confronti del libretto, del palco e degli artisti ha quasi un senso di sacralità. Metto in scena ciò che sento, che mi fa ridere, che mi commuove, che mi emoziona, ricordandomi di essere prima di tutto onesto con il pubblico. Sentire quell’onda di applausi che ti assale è come sentirsi gridare “anche noi abbiamo provato le stesse emozioni che hai provato tu!” e mi da un profondo senso di umanità, di empatia, di speranza.
Contemporaneamente stai portando avanti i tuoi impegni televisivi, come conduttore, in Rai…
Sono in Rai da 15 anni. Ho la fortuna di fare programmi in cui credo molto e che mi portano in giro per l’Italia e mi fanno conoscere luoghi e sopratutto persone con cui raccontare storie. “Urban Green” con Carolina Rey è un viaggio ogni volta sorprendente; e i miei reportage sulla disabilità in “O anche No” mi danno la possibilità di vivere una reale inclusione. In fondo c’è una connessione tra ciò che faccio in teatro e ciò di cui parlo in tv. E poi il Junior Eurovision è un’appuntamento che da anni mi vede alla conduzione, il 17 novembre sarà una bella maratona su Rai2.
Come riesci a portare avanti, parallelamente, la carriera di conduttore e quella di regista?
Raccontare la vita in teatro mi viene più facile quando ho il contatto con la realtà. Credo sia importante, nel mio processo creativo, mantenere il legame con le persone, con le parole, con le emozioni… altrimenti diventa tutto solo cerebrale. Fortunatamente le opere in teatro si programmano sempre con anticipo e questo mi permette di poter organizzare le settimane e i mesi con serenità. Non mi pesa non avere i classici “giorni liberi”, mi sento fortunato a fare un lavoro che amo e che mi permette allo stesso tempo di caricare e scaricare emozioni.
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