Economia

“Con gli attacchi ai pozzi dell’Iran rischiamo un’altra Desert Storm”

di Giovanni Vasso -


“Se venissero attaccati i siti petroliferi, ci troveremmo di fronte a uno scenario molto, troppo, simile a quello della prima guerra del Golfo a un’altra Desert Storm. A quel punto verrebbe a mancare il petrolio non solo per noi ma per tutta la scena internazionale. Un po’ come accaduto con la chiusura dei rapporti con la Russia. Ma questo, se possibile, non sarebbe nemmeno l’effetto peggiore”. Lo dice Michele Marsiglia, presidente Federpetroli che, a L’Identità, analizza lo scenario del Medio Oriente alla luce delle tensioni che lo stanno attraversando. “Attaccare i pozzi avrebbe effetti devastanti. Ancora adesso, in Iraq, si contano i danni della stagione di guerra di Desert Storm e ancora ora, a distanza di quasi trent’anni, si lavora per arginare i danni. In Kuwait, là dove le bombe son cadute trent’anni fa si sono formate delle vasche, in cui affiora il greggio che è alto in quelle zone. Un disastro”.


L’America ha dato l’ok a un eventuale attacco…
“Biden ha detto di sì all’attacco dei pozzi petroliferi. Chiaramente ha negato l’ok ai siti nucleari, per ovvie ragioni. La domanda che uno si può porre è questa: l’ha fatto per alzare i prezzi? Per gli Stati Uniti, è chiaro, il problema non si pone: hanno la loro produzione interna e importano petrolio e gas dall’America Latina. Il guaio è per chi sta da quest’altra parte dell’Oceano”.


Se s’arrivasse all’attacco quale scenario?
“L’Iran ha detto chiaramente di essere pronta a colpire, in caso di attacco ai porti e ai suoi siti produttivi, le strutture energetiche di altri Paesi che si affacciano nell’area. A cominciare, temo, da Israele e da altre potenze regionali dell’area. Si potrebbe scatenare un effetto domino dalle conseguenze imprevedibili. L’unica certezza starebbe nel fatto che il Golfo Persico (e non il Canale di Suez che è solo la “porta”, il terminale ultimo per l’Europa) che è il centro da cui passa il 78% del commercio petrolifero mondiale, si paralizzerebbe. Fermi i carichi per l’Europa, fermi quelli per la Cina. Non sarebbe più una sola questione logistica, che pure sarebbe grave. Sarebbe un disastro. A cui si unirebbe la catastrofe ambientale. Non è mica facile gestire l’esplosione di un pozzo e nemmeno gestirne le conseguenze, a cominciare dalla fuoriuscita di greggio incontrollabile. Finirebbe tutto nel Golfo Persico. Come è già successo ai tempi di Desert Storm”.


Faceva riferimento a una questione logistica. Quale?
Prima dell’ultima escalation e dell’ipotesi di attacco ai pozzi, negli osservatori si faceva strada l’idea che si potesse chiudere lo stretto di Hormuz e il Golfo Persico al passaggio delle navi. In questo caso, si sarebbe verificato quello che abbiamo, in un certo senso, già vissuto nei mesi immediatamente successivi all’insorgere del conflitto tra Russia e Ucraina con il gas. Il prodotto, nel nostro caso il petrolio, c’è. Ma ci sarebbe pure l’impossibilità a consegnarlo in quei Paesi, come l’Italia e l’Europa più in generale, che dipendono dall’approvvigionamento estero. Quindi sarebbe come non averlo, a prescindere dal prezzo del barile. Che, a quel punto, passerebbe in secondo piano. Il vero problema non sta nel Canale di Suez che è solo l’ultimo terminale in ciò che accadrà nel Golfo Persico. Da lì, ripeto, passa l’80% del commercio mondiale di greggio, i rifornimenti che vanno in Europa ma pure in Africa e in Asia.


I prezzi salirebbero alle stelle…
“E ciò potrebbe consentire all’Opec di bypassare i problemi interni e di ottenere, senza colpo ferire, senza dover intaccare i livelli di produzione e superando le tensioni interne, un adeguamento immediato dei prezzi. L’Arabia Saudita, che ha spinto per un piano di tagli graduale, ha evidenziato che il prezzo del greggio tra i 60 e i 70 dollari al barile, in questo momento, non sembra ottimale. Però ci sono altri Paesi dell’organizzazione che puntano a produrre e guadagnare e pertanto il governo di Riyadh s’è sentito in dovere di avvisare tutti del fatto che, se continua così, il greggio arriverà a costare 50 dollari al barile. Un prezzo, per i produttori, stracciato. Le tensioni in Medio Oriente, però, rimescolano le carte. Al di là dello scenario peggiore, quello degli attacchi diretti alle infrastrutture, ai porti e ai siti di produzione, resta la questione logistica che potrebbe comportare aumenti straordinari del costo del petrolio sulla falsariga di quello che è già accaduto col gas”.


Quali conseguenze per i consumatori?
“Condizioni straordinarie avvererebbero prezzi fuori controllo. Abbiamo già assistito ad aumenti importanti del prezzo dei carburanti, abbiamo già acquistato la benzina a due euro al litro. Magari potrebbe arrivare a costare anche di più. Con tutto ciò che ne consegue sui trasporti, sulla logistica e sui prezzi finali ai consumatori di tutti quei beni primari e non che arrivano nei negozi”.


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