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L’Ue chiede accertamenti patrimoniali su Fitto e altri commissari europei designati

di Giorgio Brescia -


L’Europa, o almeno una parte di essa, intende mettere in discussione i commissari europei designati, tra i quali l’italiano Raffaele Fitto, accertamenti di routine su cui si innesta anche una polemica di parte. La commissione Affari Giuridici dell’Eurocamera (Juri, nella definizione parlamentare) dell’Eurocamera – titolare dell’esame su eventuali conflitti di interesse dei candidati, ha oggi iniziato l’esame sulla base dei documenti riservati, inviati dai commissari designati nei giorni scorsi -, ha chiesto ulteriori informazioni su dieci commissari designati. Tra questi, il candidato italiano Raffaele Fitto, al quale sarebbero state chieste integrazioni sulle sue partecipazioni immobiliari.

Questione che diventa anche fonte di una polemica politica, svincolata ovviamente dalle procedure di controllo generale avviate sui candidati commissari. La copresidente del gruppo The Left, Manon Aubry, rappresentante della France Insoumise, ha citato i candidati commissari di Italia, Portogallo e Slovenia come potenzialmente “problematici” per quanto riguarda i potenziali conflitti d’interesse, anche se, ha precisato, “nessuna di queste questioni può essere affrontata dalla commissione Juri, perché non sono di sua competenza”.

In un punto stampa tenuto dopo la prima riunione della commissione Juri a Bruxelles, Aubry ha detto che Raffaele Fitto “ha avuto alcuni procedimenti giudiziari che non sono tutti chiusi” e che la portoghese Maria Luis Albuquerque “ha lavorato per Morgan Stanley e si occuperà dei Servizi finanziari. Come ministra delle Finanze ha adottato misure di austerità, per sostenere le banche”.

La slovena Marta Kos, ha poi ricordato Aubry, “ha lavorato per una società di consulenza, Kreab, che lavora” per colossi come “Amazon, Google. Pensate che siano i degni rappresentanti del popolo europeo o di alcune lobby e aziende? Le regole attuali non consentono di affrontare queste questioni, ed è un problema.

“I problemi maggiori non vengono affrontati dalla procedura” prevista nella Juri, perché “si guarda solo ai beni finanziari dichiarati, ma non si guarda a cosa hanno fatto e per chi hanno lavorato in passato”, ha aggiunto. Aubry ha riferito pure che nessuno dei commissari designati risulta detenere azioni, a differenza di quanto accadde nel 2019, quando sia Josep Borrell che Paolo Gentiloni risultarono avere un “giardinetto” di titoli, in cui avevano (del tutto legittimamente) investito i loro risparmi. I candidati alla von der Leyen bis “probabilmente hanno imparato” la lezione del 2019, ha osservato Aubry, poiché sia Borrell che Gentiloni dovettero vendere le azioni che possedevano.


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