Politica

Giuseppe Conte rompe gli indugi (e il campo largo)

di Giuseppe Ariola -


Giuseppe Conte ha decretato definitivamente la fine dell’esperienza, mai nata, del campo largo. “Non esiste più, lo certifichiamo”, ha detto ieri sera il leader grillino intervenendo a Porta a Porta. L’ipotesi era nell’aria già da un po’ e i segnali in tal senso erano stati diversi, in ultimo il cambio di strategia in occasione del rinnovo dei vertici Rai che ha visto la sinistra procedere in ordine sparso. Lo stop all’intesa è stato motivato da Giuseppe Conte con l’ingresso di Italia viva nel campo largo. E non sono mancate stoccate dirette alla segretaria del Pd. “Ci siamo ritrovati con Renzi in mezzo al campo senza venire informati, ma all’esito di una partita di calcio e di decine di interviste di Renzi e col Pd che ha detto non fate polemiche e non ponete veti. Ma il problema è politico e serio”, ha sostenuto l’ex presidente del Consiglio. E proprio sull’attacco a Elly Schlein pongono l’accento da Italia viva, sia per enfatizzare le parole di Conte contro la segretaria dem che per blindare gli accordi raggiunti con il Pd alle prossime regionali. Elezioni alle quali il Movimento 5 Stelle non vuole che il proprio simbolo sia associato a quello dei renziani. Il presidente grillino ha infatti detto senza mezzi termini di essere indisponibile “ad affiancare il mio simbolo a quello di Renzi, che si è sempre distinto per distruggere, rottamare, prende i soldi dai governi stranieri, ed è all’origine della contaminazione tra affari e politica. Fa lobbismo in Italia e all’estero”. Una presa di posizione tanto netta quanto dura che probabilmente è stata dettata anche dall’ormai prossimo appuntamento dell’Assemblea costituente che rischia di diventare il campo di battaglia tra due visioni del Movimento 5 Stelle, quella di Conte contro quella di Grillo. Con l’archiviazione del campo largo Conte guadagnerà certamente un po’ di terreno sul fronte interno e potrà rispedire al mittente le accuse di aver snaturato la creatura ideata dal comico genovese con maggiore chance di successo. Il Pd resta, quindi, con il cerino in mano, proprio come accaduto in occasione del rinnovo del cda Rai, e le chance di contrastare la coalizione di centrodestra diventano sempre meno. Di certo, se Renzi è considerato inaffidabile, a guardare cosa è successo pochi mesi fa a ridosso delle elezioni amministrative a Bari, Conte non può essere certamente definito come la massima espressione della correttezza. E il teatrino inscenato ieri, dopo un lungo tira e molla, ne è solamente l’ultimo esempio in ordine di tempo. Coincidenza, lo strappo si è consumato dopo l’ennesima dimostrazione di doppiogiochismo e doppiopesismo grillino che, ancora una volta, ha tratto in trappola anche gli altri partiti di sinistra. Sempre ieri, infatti, la giunta per le immunità del Senato, guidata dalla pentastellata Ada Lopreiato, ha negato l’insindacabilità a Carlo Calenda per un post sul social X a seguito del quale il leader di Azione è stato querelato per diffamazione da Clemente Mastella. Al di là del merito della questione il dato rilevante è che da un lato si ritiene che un politico debba essere comunque responsabile delle proprie azioni e, come in questo caso, delle proprie parole, anche se espresse nel corso del mandato parlamentare, ma dall’altro questo principio non si applica nel caso dei colleghi di partito. Quindi, per Calenda si consente all’autorità giudiziaria di procedere, ma Cafiero De Raho, ai vertici della procura Nazionale Antimafia mentre Striano indagava abusivamente su politici e vip, oggi può rimanere tranquillamente vicepresidente della commissione parlamentare Antimafia che sta tentando di far luce proprio su questo caso perché, sostengono i grillini, è una sua prerogativa. Un ulteriore esempio di coerenza che si pone perfettamente in linea con la rottura annunciata da Conte in tv che nell’evidenziare i peccati altrui per giustificare la propria decisione ha provato a dipingersi come in duro e puro della situazione.


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