Cultura & Spettacolo

Il Teatro e le emozioni come protoscienza

di Michele Enrico Montesano -


IL TEATRO COME PROTOSCIENZA – All’inizio degli anni ’90 del secolo scorso, l’equipe del professor Giacomo Rizzolatti dell’Università di Parma scopriva una classe di neuroni presenti nella corteccia cerebrale premotoria del macaco. Questi neuroni si attivavano sia quando l’animale eseguiva semplici atti motori per uno scopo, sia quando vedeva un altro individuo (uomo o scimmia) eseguire lo stesso movimento. Per questo motivo furono chiamati: neuroni specchio. Peter Brook, regista londinese, in seguito dichiarò che con la scoperta dei neuroni specchio le neuroscienze avevano cominciato a capire quello che il teatro sapeva da sempre.
Il mestiere dell’attore consiste infatti nel far arrivare un’emozione a chi quell’azione la osserva semplicemente. Brook spostava l’attenzione sullo spettatore, forse per deformazione professionale, aggiungendo che quest’ultimo non fosse estraneo al processo creativo ma vi partecipava come parte integrante dello spettacolo. Grazie all’interazione con lo spettatore è possibile lo svolgimento dell’evento. Parafrasando l’allenatore Zdenek Zeman, il Teatro senza pubblico non ha senso. Questo rapporto di co-dipendenza tra attore e spettatore che genera lo spettacolo è proprio del Teatro, in quanto avviene quello che gli studiosi chiamano “scambio comunicativo interpersonale” dove il soggetto, come afferma Michele Sorice: “può adattare i propri messaggi in rapporto alle reazioni degli ascoltatori”.

Questo permette di correggere o modificare il messaggio nel corso stesso dell’emissione. Migliorini parla a tal proposito di feedback improprio. Il Teatro accade hic et nunc, è per sua natura presente, non può essere mediato. Il Teatro è l’arte del rifare, ma non è mai uguale a se stesso perché a cambiare è sempre il pubblico che a sua volta influenzerà lo spettacolo. In questo continuo flusso e scambio, quasi democratico, orizzontale, tra attori e spettatori, ne vengono dettati i ritmi, i tempi e le pause. È partecipativo. Nelle compagnie professioniste è prassi registrare la durata dello spettacolo. Si trovano molto frequentemente delle piccole variazioni di sera in sera, in base alle risposte del pubblico. Un applauso in più, una risata in meno e lo spettacolo cambia. Attori e pubblico sono quindi due agenti interdipendenti e co-agenti; non esiste Teatro senza pubblico e non esiste pubblico senza attori. Per Grotowski il Teatro “è un atto generato da reazioni e impulsi umani, da contatti tra persone. È un atto sia biologico che spirituale” e aggiunge che la sua essenza è nell’incontro tra attore e spettatore, unico elemento necessario. Il Teatro può fare a meno di scenografie, di costumi, paradossalmente perfino del teatro stesso, inteso come luogo, ma “non può esistere senza il rapporto attore/spettatore, senza la comunione della percezione diretta, ‘viva’” e “è ciò che avviene tra spettatore e attore. Qualsiasi altra cosa è supplementare” usando sempre le parole del regista polacco. In questa relazione, come in ogni relazione, c’è uno scambio anche emotivo fondamentale per la riuscita del processo sia artistico che biologico e sociale. L’arte è veicolo preferenziale per le emozioni.

Gallese scrive in merito: “perché la finzione artistica è spesso più potente della vita reale nell’evocare il nostro coinvolgimento emozionale ed empatico? Forse perché, attraverso lo scarto prodotto dalla creazione artistica, l’uomo è costretto per un’ora o due a sospendere la presa indiretta sul mondo liberando energie fino a quel momento indisponibili”. Ricorda un po’ la visione di Atonin Artaud ne Il Teatro e il suo Doppio, dove s’interroga sulla dualità Teatro-realtà e afferma che il Teatro, considerato “finto” “non reale”, sia più reale della realtà stessa. Non il Teatro come doppio della realtà ma la realtà come doppio del Teatro. Quante volte, vivendo, diciamo di una cosa vista – o vissuta – di essere “come nei film”. La realtà prende spunto dalla finzione. È un suo riflesso.
Rendiamo noi l’immaginazione reale. Don Chisciotte non esiste? O è reale perché il lettore lo rende tale? Shakespeare nel prologo dell’Enrico V fa dire al Coro:
“Di un uomo solo, fatevene mille
Se diremo “cavalli”, siate voi
A vederli, questi cavalli, veri,
Stampare, alteri, con gli zoccoli
Impronte, sull’umido terreno!
Col pensiero, coprite voi di sfarzo
I nostri re. Trasportateli voi, in qua e in là
Anche saltando intere pagine di storia
E racchiudendo in un’ora il passaggio di anni!
Inventatevi voi, se occorre, mille navi!

L’autore inglese ricorreva spesso alla cosiddetta scenografia descrittiva che senza l’immaginazione e la partecipazione dello spettatore è inutile. In Italia esiste un piccolo paesino, nella provincia di Catania, Vizzini, che ha dato i natali a Verga. In questa città sono poste targhe commemorative davanti alle case dei personaggi inventati dallo scrittore. Passeggiando per i pittoreschi vicoli, non è raro imbattersi in cartelli come “casa di Turiddu”, ma Turiddu non è mai esistito. L’arte ha la potenza di trasformare l’immaginazione in realtà. Come l’iconografia della Commedia dell’Arte, dalla quale l’italiano ha anche tratto dei modi di dire, si pensi al “segreto di Pulcinella”. “La Commedia dell’Arte esiste solo nella mente dei poeti e dei pittori” disse De Filippo, e da loro trasposta e regalata all’umanità. Capace di emozionare ed emozionarsi. Boncinelli scrive “senza emozioni non c’è una adeguata elaborazione delle cose apprese e forse nemmeno apprendimento”. Partendo da questo assunto, in ambito scientifico, si sono analizzate le implicazioni in ambito pedagogico. Il rapporto circolare tra attore e spettatore, analogamente a quanto dovrebbe accadere tra docente e allievo, grazie alla scoperta dei neuroni specchio, avvalora l’idea che “percepire un’azione o l’intenzione che l’ha determinata – e comprenderne il significato – equivale a simularla internamente. Ciò consente all’osservatore di utilizzare le proprie risorse per penetrare il mondo dell’altro mediante un processo di modellizzazione che ha i connotati di un meccanismo inconscio, automatico e pre-linguistico di simulazione motoria” citando il neuroscienziato Vittorio Gallese nel 2007. Motivo per cui Eschilo rappresenta I Persiani, non solo per celebrare la vittoria delle città-stato greche contro l’impero persiano, ma anche come monito e riflessione. Invita i suoi connazionali a riflettere sulle conseguenze della guerra. La vicenda infatti viene narrata dalla prospettiva degli sconfitti, gli odiati persiani. È l’anno 472 a.C.


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