Attualità

LIBERALMENTE CORRETTO – L’ordine basato sulla libertà individuale

di Michele Gelardi -


La libertà o è individuale o non è. Anche la libertà associativa non consiste in nient’altro che nel diritto della persona di unirsi con altre persone in un organismo sociale, al fine di conseguire scopi condivisi, cosicché la difesa della libertà non può non coincidere con la recinzione di uno spazio esclusivo e inviolabile di autodeterminazione, sottratto a qualsiasi ingerenza esterna. Ebbene questa verità, semplice e intuitiva, viene misconosciuta o almeno trascurata, pur in buona fede, sulla base di tre false presunzioni: la pretesa superiorità morale del pubblico rispetto al privato; l’onnipresente emergenza costrittiva; l’assunta impossibilità dell’ordine spontaneo.

L’ordine basato sulla libertà individuale – Il primo equivoco nasce dalla falsa contrapposizione tra il bene pubblico e quello privato. In verità il bene di tutti coincide con quello di ognuno e la società nel suo complesso gode del benessere dei suoi componenti. Ciò posto, l’equivoco sarebbe facilmente superabile; ma c’è un’insidia nascosta, che impedisce a molti di vedere la falsità della contrapposizione. È dura a morire l’idea che il perseguimento dell’interesse individuale vada a detrimento dell’interesse collettivo. Da qui la considerazione dispregiativa del c.d. scopo di lucro, il quale in verità coincide con la finalità essenziale di ogni attività economica. L’utile di esercizio esprime l’eccedenza delle entrate rispetto alle uscite, la quale designa l’efficienza dell’impresa; non costituisce sfruttamento egoistico di alcuno; e non corrisponde alla sottrazione di una quota al patrimonio collettivo, per il semplice fatto che la ricchezza globale non è una quantità predefinita, a somma zero, la quale implica necessariamente l’impoverimento dell’uno in corrispondenza dell’arricchimento dell’altro. La divisione del lavoro e la cooperazione incrementano la ricchezza e il benessere di tutti, sicché, in ultima analisi, non ha alcuna ragion d’essere l’anzidetta contrapposizione aprioristica.

Il secondo equivoco risiede nella funzione tutoria dell’autorità pubblica in condizioni di emergenza. Il sacrificio della libertà individuale viene giustificato in nome della sopravvivenza del consorzio sociale nei casi di guerra, pandemie, disastri climatici etc. Sfuggono tuttavia due piccoli particolari: la genesi dell’emergenza; la continuità delle “emergenze”. Non di rado l’emergenza è il risultato dell’attività politica di coloro che la invocano per giustificare provvedimenti restrittivi della libertà. La storia dell’umanità è prodiga di esempi di guerre, intraprese dal dittatore di turno al solo scopo di mantenere e consolidare il potere. E pare che, perfino nelle moderne democrazie, le oligarchie al potere, soprattutto quelle cointeressate alla produzione di armi e varie congerie di presidi “difensivi” e profilattici, abbiano ben appreso la lezione. Se poi guardiamo alla continua successione di emergenze vere o presunte, il “sacrificio” imposto nell’interesse di tutti perde credibilità. Gli italiani, da questo punto di vista, dovrebbero essere i più scettici, avendo sperimentato il più costrittivo lockdown del mondo occidentale con risultati nulli. Non ancora del tutto abbandonata la vecchia emergenza (sanitaria), si profila la nuova (climatica), nel cui indistinto calderone concorrono gli episodi più disparati di caldo, freddo, pioggia, siccità, assunti a presagio dell’imminente fine del mondo, evitabile solo a condizione di seguire docilmente i comandi del manovratore.

Si legittima infine la restrizione della libertà, ritenuta essenziale per l’ordine. La dura legge del “realismo” impone di non “abbandonare” all’iniziativa privata pressocché tutti i settori della vita associata: l’emissione di moneta, la previdenza, la scuola, l’assistenza medica etc.. Altrimenti ne sortirebbero il caos e l’anarchia. A questa stregua, l’ordinamento di libertà sarebbe un’utopia, mentre l’ordine pianificato, fondato sulla coazione, sarebbe l’unico possibile. È vero l’esatto contrario. Lo chiarisce con dovizia di esemplificazioni il recente libro di Davide Rossi (Le vie della libertà). Ne citiamo una su tutte: perfino il monopolio coatto della moneta non è né necessario, né utile; sono possibili altre vie, come dimostra la vicenda dei bitcoin. Dalle pagine di Rossi emerge dunque una certezza consolante: il potere oppressivo non è ineluttabile


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