Attualità

L’INGRANDIMENTO – Wada, Sinner e la Cina: se il presunto doping diventa un affare politico

di Giovanni Vasso -


C’è sempre un lupo cattivo nelle favole. In quella del piccolo grande Jannik Sinner ha la forma di un ricorso che la Wada, l’agenzia internazionale anti-doping, ha aspettato fino all’ultimo prima di presentare al Tas di Losanna. Non basta la pronuncia degli organismi del tennis, la Wada vuole congelare per uno-due anni la carriera del tennista. È il caso Clostebol e, dicono quelli che la sanno lunga, il ricorso altro non è che un atto per lo più politico per dimostrare che nessuno può farla franca, nemmeno i numeri uno, nemmeno a fronte di violazioni minime. Eppure col doping, con certe accuse, non si dovrebbe scherzare. La vita di un uomo rischia di restarne stritolata. Come quella di Marco Pantani, morto vent’anni fa, e al centro di uno scandalo che ora si scopre fu orchestrato da quella parte di camorra che teneva banco sulle scommesse clandestine per quel Giro d’Italia di tanti anni fa. È chiaro che si tratta di due casi diversi, distinti e separati. Nel caso di Sinner il doping appare davvero una questione politica. E difatti al tennista non è stato proibito di giocare ancora fino a che il tribunale svizzero non si pronuncerà e non se ne parlerà prima dell’anno venturo. Ma che senso avrebbe fermare un campione, accusarlo di aver barato, quando per le quantità assunte e le modalità non avrebbe minimamente approfittato di chissà che benefici o vantaggi indebiti? C’è, eccome se c’è. Con il rigore contro Sinner, dicono gli analisti più smaliziati, la cui unica colpa è essere rappresentante di un Paese che conta quanto il due di picche, Wada vorrebbe far scordare lo scandalo del presunto doping dei nuotatori cinesi. Due torti non fanno una ragione. Specialmente se, in mezzo, c’è la vita di (più di) qualcuno.


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