Attualità

La doppia morale sullo stupro come “fatto culturale”

di Rita Cavallaro -


La doppia morale di un Paese che grida alla cultura dello stupro del maschio bianco e gira la testa dall’altra parte quando a commettere le violenze sono gli stranieri. “È il loro impianto culturale”, bellezza, per usare le motivazioni della sentenza di tre giudici di Brescia che, il 17 ottobre 2023, avevano assolto Hasan Md Imrul, un uomo originario del Bangladesh accusato dall’ex moglie, sua connazionale, di maltrattamenti e violenza sessuale. Uno schiaffo morale e un’ulteriore violenza verso quella donna che aveva, con difficoltà e dopo tanto dolore, denunciato il suo presunto carnefice, convinta probabilmente da una campagna di sensibilizzazione che ormai da tempo va avanti con forza, con le associazioni antiviolenza in prima linea in difesa delle donne. Un’ipocrisia figlia di quel politically correct peloso, che di fronte a certe vicende sembra segnare un distinguo tra vittime di serie A e poveracce di serie B.

E mentre una certa sinistra si era voltata dall’altra parte, marciando fiera con le femministe di “Non una di meno”, il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, era intervenuto a gamba tesa su quella richiesta di assoluzione, definendo inaccettabili i presupposti di una richiesta di assoluzione sulla base del fatto che “i comportamenti da parte dell’imputato erano frutto dell’impianto culturale di origine e non della sua coscienza e volontà di svilire la coniuge”. Nonostante la presa di posizione del Guardasigilli, l’uomo fu comunque assolto con la formula piena, “perché il fatto non sussiste”, sempre su richiesta del pm che estrapolò dalla requisitoria il riferimento alla cultura di provenienza, oggetto del polverone mediatico.
La vittima, non proprio una sprovveduta, anche grazie al fatto che il suo attuale compagno è un capitano della Guardia di finanza, ha ora fatto la sua mossa clamorosa. Che nel vulnus della responsabilità civile dei magistrati, tanto vale tentare la via penale. E infatti la donna e il suo compagno hanno denunciato i magistrati di Brescia Maria Chiara Minazzato, Mauro Liberti e Wilma Pagano, perché nelle motivazioni contenute nel verdetto di assoluzione del bengalese li avrebbero, di fatto, accusati di falsa testimonianza e calunnia, senza però trasmettere gli atti ad altri giudici, come prevede il dovere d’ufficio al fine dell’accertamento riguardo a eventuali bugie.

Nell’esposto presentato dalla coppia contro le toghe, vengono ipotizzate le accuse di “omessa denuncia di reato da parte del pubblico ufficiale” e “abuso d’ufficio” appunto, proprio perché nella sentenza di assoluzione del marito della vittima si fa esplicitamente riferimento a “incoerenze, mendacità e contraddizioni” nelle testimonianze rese dall’ex moglie e dal nuovo compagno nel corso delle indagini. Tra queste il fatto che la donna aveva accusato il marito di averla “comprata” e poi costretta a sposarlo. Addirittura, nel dispositivo viene sottolineato come, a causa loro, sia stato “prodotto un macroscopico e irrimediabile inquinamento probatorio”. Di fronte alla denuncia della coppia, il procedimento è stato affidato alla Procura di Venezia, competente a indagare sull’operato dei magistrati bresciani.

Il fascicolo, aperto come atto dovuto a seguito dell’esposto, è affidato alla pm veneta, Valeria Sanzari. Inoltre la coppia ha proposto di essere eventualmente processata a Venezia perché, “a causa dell’elevatissimo clamore mediatico del caso”, ormai a Brescia è stata messa in dubbio la loro onorabilità. “Sono pronto ad affrontare le conseguenze di un processo a mio carico”, ha scritto il finanziere nell’esposto, “purché venga accertata la verità dei fatti e, così, riconosciuta la mia assoluta onestà e innocenza”.
Infine la stoccata alle toghe: “Chiedo che i magistrati debbano rispondere per l’omissione della trasmissione degli atti alla Procura e dell’abuso d’ufficio in mio danno. In relazione alla mia testimonianza, i giudici hanno di fatto espresso un giudizio di condanna, che lede la mia reputazione e il mio onore militare, senza avere avuto la possibilità di difendermi”. La vittima ha infine aggiunto nella denuncia come siano state del tutto ignorate “le fotografie delle violenze, comprese quelle inerenti l’obbligo di indossare i vestiti tradizionali”.


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