Editoriale

Giorgia paladina dell’Occidente

di Adolfo Spezzaferro -


Giorgia Meloni ha conquistato la platea Usa, incassando un indiscutibile successo internazionale. A New York, in occasione del Global Citizen Award, con il premio ricevuto dal trumpiano Elon Musk, la premier, con buona pace delle italiche opposizioni, dei sinistrati occidentali e delle anime belle liberal a stelle e strisce, ha dimostrato di essere a casa sua pure in America.

Il suo intervento, curatissimo, perfetto per una platea come quella dell’Atlantic Council – con citazioni altissime stemperate, controbilanciate da quella della canzone di Michael Jackson – è una lezione di politica, un manifesto programmatico. Di una leader – la prima donna a capo del governo nella sua Patria, come ci ha tenuto a sottolineare – che crede ancora fermamente nei valori occidentali e nello stesso Occidente, quello che ha proprio la faccia degli Stati Uniti più che del Vecchio Continente.

Perfettamente a suo agio e mantenendo un ferreo equilibrio, pur guardando alla possibile vittoria di Trump a novembre, Giorgia Meloni ha snocciolato i suoi punti programmatici declinandoli all’americana. Ci ha infilato i capisaldi della sua visione di destra conservatrice moderna, ma nella versione per l’estero, diciamo. “So che non dovremmo vergognarci di difendere parole come Nazione e patriottismo. Perché significano più che un luogo. Significano uno stato della mente nel quale si appartiene a una cultura, una tradizione e dei valori condivisi”, ha rivendicato con orgoglio.

Più in generale è il concetto di identità (noi che scriviamo ne sappiamo qualcosa) che è universale e che qui è occidentale, che va difeso contro ogni previsione di declino (di Tramonto dell’Occidente, aggiungiamo noi). “Difendere le nostre radici profonde è la precondizione per raccogliere frutti maturi. Imparare dai nostri errori passati è la precondizione per essere migliori in futuro”, dichiara convinta, citando l’amato Prezzolini, “forse il più grande intellettuale conservatore nell’Italia del Novecento”. Ma la premier cita anche Reagan, coerentemente con la sua visione dell’Occidente e del tipo di libertà che propugna e difende. “In un tempo dominato dal caos, l’Italia – afferma alla platea dell’Atlantic Council – si schiera fermamente al fianco di chi difende la propria libertà e sovranità, non solo perché è giusto farlo, ma anche perché è nell’interesse dell’Italia e dell’Occidente impedire un futuro in cui prevalga la legge del più forte”.

Libertà da difendere pure dai nemici interni, come un uso non abbastanza controllato e limitato dell’intelligenza artificiale: “Abbiamo combattuto per essere liberi e non intendiamo barattare la nostra libertà in cambio di maggiore comodità. Noi sappiamo leggere questi fenomeni perché la nostra civiltà ci ha regalato gli strumenti per farlo”. L’Occidente della Grecia classica e del Cristianesimo che approda negli States e diventa “Man in the mirror”, della popstar che Giorgia Meloni definisce (con una trovata simpatica e molto americana) il suo prof di inglese. Una sintesi che in mano alla premier, in un quadro di crisi globale con il rischio di escalation sia nel conflitto russo-ucraino che in quello tra Israele e i suoi nemici, è la risposta più efficace a chi ha dubbi su da che parte stare. Una destra conservatrice, moderata, atlantista, moderna, europea e ora internazionale. La destra della Meloni. Non è quella di Salvini e Le Pen, men che mai quella di AfD, ma (almeno per adesso) è quella che vince. Aspettando il ritorno di The Donald.


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