Ambiente

Siccità, invasi a secco fino al 40%. Per Utilitalia dopo il Pnrr ci vorranno 10 miliardi per svoltare

di Angelo Vitale -


Ancora la siccità in primo piano, nonostante il via della stagione autunnale, le piogge, l’emergenza maltempo e inondazioni che flagellano molte regioni italiane. Nell’ ultimo anno idrologico (da maggio del 2023 allo scorso maggio) secondo Utilitalia la capacità idrica degli invasi principali del distretto Appennino Meridionale ha subìto una contrazione compresa tra -17% e -45% a seconda delle zone.

In Sicilia, la regione più colpita dalla siccità dell’estate appena trascorsa, il volume di acqua invasato è crollato del 40%. La siccità che nel 2022 aveva colpito il Nord Italia – con un calo del 24% delle precipitazioni, a livello nazionale, rispetto alla media 1991-2020 e una disponibilità idrica scesa del 50% rispetto alla media del lungo periodo 1951-2022 – negli ultimi mesi ha interessato in particolar modo il Sud.

Il Mezzogiorno, per la federazione che riunisce le aziende speciali operanti nei servizi pubblici dell’acqua, dell’ambiente, dell’energia elettrica e del gas, è il territorio nel quale le infrastrutture sono più vulnerabili, la percentuale media di perdite di rete è più alta e la frammentazione gestionale più marcata.

Un tema che Utilitalia mette al centro del Festival dell’Acqua, tradizionale appuntamento incentrato sui temi del servizio idrico, da oggi a Firenze.

Gli investimenti non bastano mai e sono anche inferiori alla media europea. Dal 2012 al 2022 sono aumentati del 227%, raggiungendo i 4 miliardi annui e i 63 euro per abitante, una quota che dovrebbe salire quest’anno fino a 70 euro. Ma il gap con la media europea – pari a 82 euro annui per abitante, che incrementa fino a 100 euro nei Paesi più virtuosi – resta ampio, soprattutto in quei territori dove non operano soggetti industriali: nelle gestioni in economia, che interessano ancora 1.465 Comuni e 7,6 milioni di cittadini (di cui il 93% al Sud), si continuano a investire mediamente appena 11 euro l’anno.

Secondo le stime di Utilitalia, gli investimenti dovrebbero crescere ancora rispetto ai 4 miliardi annui attuali, per colmare il fabbisogno complessivo di settore stimato in circa 6 miliardi di euro l’anno. Oggi gran parte di questo fabbisogno è coperto dalla tariffa e il Pnrr su questo ha fornito un impulso su una finestra temporale che termina nel 2026, stimabile in circa 1,1 miliardi di euro l’anno.

Utilitalia richiede risorse ulteriori – pari a circa 0,9 miliardi di euro l’anno – per raggiungere la quota di fabbisogno prevista per il nostro Paese. “Una volta terminati i fondi del Piano – spiega Filippo Brandolini, presidente di Utilitalia – sarà necessario un ulteriore sforzo da parte del governo attraverso uno stanziamento strutturale in manovra di almeno 1 miliardo di euro l’anno per i prossimi 10 anni, perché tutte le opere necessarie alla messa in sicurezza del sistema idrico nazionale non possono essere unicamente a carico delle tariffe. Parliamo di investimenti incentrati su serbatoi, invasi, riutilizzo delle acque reflue, interconnessioni tra acquedotti e riduzione delle dispersioni. Sul fronte delle perdite di rete, sulle quali stiamo recuperando il lascito di tanti decenni di investimenti insufficienti, gli investimenti programmati si attestano al 27%, guidando le priorità nella pianificazione di settore rispetto a tutti gli altri indicatori monitorati da Arera. Ma ora, per uscire dalla logica emergenziale e rispondere alle sfide poste dal cambiamento climatico, serve un ulteriore cambio di passo”.

Da qui una proposta di riforma avanzata dalla federazione guidata da Brandolini: “Siamo convinti – afferma – di poter raggiungere “l’obiettivo 100″’, arrivando a un centinaio di gestori industriali di media e rande dimensione rispetto ai circa 1.800 attuali e a un livello di investimenti di 100 euro l’anno per abitante, in linea con le migliori esperienze europee. Va realizzato un piano straordinario di interventi per assicurare la tutela della risorsa e garantire l’approvvigionamento anche in periodi di stress climatici sempre più frequenti”.


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