Economia

Meloni a New York col sogno del mare nostrum digitale

di Giovanni Vasso -


La cosa che più conta è quella che (per ora) è rimasta ancora riservata: la missione di Giorgia Meloni a New York va ben oltre la photo-opportunity del pur prestigioso premio dell’Atlantic Council. E va oltre (anche) al podio dell’Onu da cui ha ribadito punti di vista e strategie sui temi più scottanti di questi mesi: dall’innovazione digitale (leggi intelligenza artificiale) al piano Mattei. La cosa che più conta è cosa Giorgia Meloni si sia detta con i Ceo e i dirigenti di Google, Motorola e Open Ai.

E, chiaramente, di cosa abbia parlato con Elon Musk dopo la premiazione. Le fonti vicine alla premier hanno ribadito, già prima che Meloni iniziasse il suo tour tra i manager di Big Tech che “tutto ciò che è intelligenza artificiale ci interessa”. L’Italia vuole diventare l’hub tecnologico d’Europa. Sfumato il sogno Intel, che il nostro Paese aveva visto dissolversi prima di fronte al (solito) incubo Ue degli egoismi nazionali, il governo ha puntato con decisione alla Sicilia come Silicon Valley italiana. E qui c’entra il Piano Mattei: se il Sud trova la chiave di sviluppo hi-tech, l’Italia coglie l’opportunità di piazzarsi, strategicamente, al centro delle nuove direttive commerciali che, abbandonati gli Oceani e la rotta Est-Ovest, ora si concretizzano sul Mediterraneo e l’asse Nord-Sud. Google, Motorola e Open Ai.

Ma pure Musk con Starlink e la sua galassia di imprese aerospaziali, digitali e strategiche. Basterebbe averne convinto uno per portare in Italia investimenti utili, mai come adesso, a far persino dimenticare il “tradimento” di Stellantis, con il conseguente ritiro delle somme Pnrr stanziate, l’addio del progetto Giga-factory per le auto elettriche a Termoli. Insomma, se il viaggio a New York di Giorgia Meloni sarà andato bene lo sapremo, davvero, soltanto nelle prossime settimane.

Intanto, la premier, s’è presentata all’Onu offrendo la sua visione delle cose sui temi caldi della politica e dell’economia internazionale. E così, nelle parole di Giorgia Meloni, l’intelligenza artificiale si rivela “fenomeno di cui temo non si abbia ancora sufficiente consapevolezza”. Spiega, la presidente del consiglio italiana, che “l’Ia è soprattutto un grande moltiplicatore ma la domanda a cui dobbiamo rispondere è: che cosa vogliamo moltiplicare?”.

La domanda delle cento pistole: “Se questo moltiplicatore fosse usato per curare malattie oggi incurabili allora quel moltiplicatore contribuirebbe al bene comune ma se fosse invece usato per divaricare ulteriormente gli equilibri globali gli scenari sarebbero potenzialmente catastrofici”. Considerazione che casca a fagiolo dal momento che Oxfam rivela, una volta ancora, che l’1% della popolazione mondiale detiene e sfrutta il 95% delle risorse dell’intero pianeta: “Le macchine non risponderanno a questa domanda, noi possiamo farlo. La politica deve farlo e deve garantire che l’Ia rimanga controllata dall’uomo e mantenga l’uomo al centro”.

La politica, già. Che deve ritrovare il suo ruolo (anche) nei consessi internazionali. In un’era di conflitti e di potenziali stravolgimenti globali, Meloni assicura che il Piano Mattei è “un modo nuovo” per attuare “la cooperazione tra le nazionali” e rappresenta uno strumento “pensato per cooperare con le nazioni africane attraverso un approccio che non è né paternalistico né caritatevole né predatorio ma basato sul rispetto e sul diritto per ciascuno di poter competere ad armi pari”.

Il multilateralismo, ha detto Meloni, “non può essere un club” che produce solo “documenti inutili”. Nessuna sorpresa: più o meno ciò che ci si attendeva da lei, insieme alla condanna dell’invasione russa dell’Ucraina e al “sì” a una riforma delle Nazioni Unite a patto che “non esistano nazioni di serie A e di serie B”. La politica del podio è stata soddisfatta. La cosa più importante è ciò che, per il momento, resta riservato. Ciò che Meloni si è scambiata con Big Tech.

La candidatura dell’Italia a fare del Mediterraneo il mare nostrum digitale, a rilanciare le quotazioni del nostro Paese per spezzare, da un lato, l’immobilismo Ue (che si ritrova oggi senza campioni digitali ma col primato della burocrazia) e, dall’altro, dal protezionismo Usa innescato dall’Ira di Biden. Un’impresa di certo non facilissima. Ma fondamentale, decisiva, per lo sviluppo economico e strategico di un Paese che vuole tornare a dire la sua nel mondo.


Torna alle notizie in home