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Lina Souloukou si è dimessa: a Roma non s’è salvato nessuno

di Giovanni Vasso -


Lina Souloukou si è dimessa dalla carica di amministratore delegato della Roma. Il duello con Daniele De Rossi s’è concluso in un bagno di dimissioni. La società giallorossa, adesso, cerca un nuovo dirigente. Che sappia tenere la barra dritta, certo. Che eviti di inserirsi in dinamiche interne allo spogliatoio e ai doveri dell’allenatore, sempreché le richieste di utilizzare Dybala col contagocce per evitare di far scattare rinnovi contrattuali sia vera. Che si renda conto del fatto che il calcio non può essere solo business perché, se è vero (come lo è) che è un affare lo è altrettanto il fatto che è totalmente irrazionale. E che risponde a dinamiche e logiche che fino a un certo punto combaciano con quelle che regolano il mondo del business.

Diciamocela francamente, adesso che possiamo. La scelta di sostituire José Mourinho, idolo della Sud e masaniello conclamato delle curve del mezzo mondo che ha allenato, con Daniele De Rossi è stata una mandrakata. Ma solo dal punto di vista della comunicazione. Perché, dati alla mano, la scelta di affidarsi a Ddr, che come tecnico fino a quel momento non aveva colto risultati entusiasmanti, è stata una scommessa. Vinta, almeno per un po’ e con l’amarezza finale d’aver ciccato (complice l’Atalanta che il campionato l’ha onorato fino alla fine) la qualificazione in Champions League. Ma scegliere una bandiera per scacciarne un’altra è un po’ come il vecchio chiodo scaccia chiodo. Lì per lì funziona, poi però qualcosa rischia di andare storto.

Al di là del campo e dei risultati, l’intera vicenda è stata gestita in maniera a dir poco insufficiente. Tutto è iniziato con Dybala divenuto a furor di popolo core de ‘sta città per aver rifiutato la corte degli arabi, è proseguito con Zalewski fuori rosa per questioni di rinnovo contrattuale, è finito con De Rossi che non si voleva far dettare la formazione dai codicilli e dalle clausole contrattuali che la società avrebbe voluto risparmiarsi. In mezzo, gli scontri di campo che diventano guerre e una squadra che non ci sta a diventare il capro espiatorio di una tifoseria delusa e ferita. Il calcio è un’impresa atipica e se vale vendere magliette a centinaia di euro solo perché c’è il simbolo del cuore, saltano le regole che altrove avrebbero fatto scattare la giusta causa di licenziamento. Diciamoci anche questo, ora che possiamo: se la gente riempiva e riempie l’Olimpico nonostante risultati non proprio all’altezza dei desideri del pubblico è (anche) perché in panchina c’era una bandiera. Che avrebbe avuto sempre ragione.

Lina Souloukou s’è dimessa e avanti un altro mentre “la proprietà resta pienamente concentrata sulla crescita e sul successo della Roma, con una costante attenzione ai valori che rendono la nostra squadra così speciale”. Quali? Non è dato sapere. Forse quelli che hanno portato qualche ufficio marketing un po’ distratto a dare l’ok alla vendita di una maglietta coi colori degli odiati cugini laziali? Quando si parla di sport, la retorica è parte del business. A Ivan Juric tocca riportare un po’ di tranquillità a Trigoria. Impresa che, a leggerla, pare impossibile. Ma che dopo i parossismi e la vittoria per 3-0 contro l’Udinese fino a ieri capolista sembra un po’ più abbordabile: “Lina Souloukou si è dimessa? Mi dispiace umanamente”, dice il tecnico affermando di essere venuto a conoscenza del forfait di chi l’ha portato a Roma soltanto dalla tv. Juric, a differenza dei manager, non è una macchina che calcola né un esecutore di ordini dagli Stati Uniti. È umano, troppo umano: al punto che, all’epoca nemmeno troppo lontana di quando allenava il Torino, fu protagonista di una furiosa lite con il ds dell’epoca Vagnati. Che, filmata, divenne virale sui social e rappresentò tema di pensose articolesse impegnate per tutta l’estate 2022. Ora, però, c’è bisogno di calma. La quiete dopo la tempesta. Il campionato è lungo e l’unico balsamo è la vittoria. La prima è arrivata. Poi si vedrà.


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