IN GIUSTIZIA – Il Tribunale di Brescia e l’arte di giudicare
Il pubblico ministero Fabio De Pasquale insieme al collega della Procura di Milano, Sergio Spadaro, con il quale ha condiviso l’accusa nel processo Eni-Nigeria, è in attesa della sentenza dei Tribunale di Brescia che deciderà sulla richiesta della Procura di condannarli entrambi a otto mesi di reclusione, senza il beneficio della sospensione condizionale della pena per il pericolo di reiterazione del reato, esercitando entrambi ancora le proprie funzioni. Il capo d’imputazione consiste nel comportamento omissivo, nell’esercizio della funzioni di pubblico ministero, di “nascondere” volontariamente alcuni atti del proprio fascicolo consumatosi nel processo milanese sul caso Eni Nigeria, anzichè depositarli nell’interesse della legge e quindi delle altre parti, imputati compresi, che poi, comunque, saranno assolti.
Il Tribunale di Brescia sul caso Eni Nigeria – Il reato è quello di rifiuto di atti di ufficio perché nel dibattimento la dialettica processuale impone la parità tra accusa e difesa, secondo il principio costituzionale del giusto processo, e quindi il pubblico ministero ha il dovere di depositare tutti gli atti rilevanti per la decisione anche se “in favore delle difese” degli imputati. Un paio di anni fa, in sede disciplinare, il pubblico ministero Fabio De Pasquale, era già stato processato dal Consiglio Superiore della Magistratura ma la richiesta di trasferimento d’ufficio per incompatibilità ambientale non fu accolta dalla prima commissione. Anche allora di parlava di Eni e di rivelazioni false dei suoi consulenti, nonché della discussa Loggia Ungheria e anche allora l’accusa rivolta a De Pasquale era di voler processare gli imputati a tutti i costi persino utilizzando prove di dubbia genuinità.
Sempre in sede disciplinare, qualche mese fa, lo stesso De Pasquale ha avuto una pesante bocciatura dal plenum del Consiglio Superiore della Magistratura, che non gli ha confermato le funzioni semi-direttive requirenti di procuratore aggiunto presso il Tribunale di Milano. Secondo notizie di stampa reperibili in rete, la delibera approvata dal plenum e redatta dalla Quinta commissione del Csm, affermava che “risulta dimostrata l’assenza in capo a De Pasquale dei prerequisiti della imparzialità e dell’equilibrio, avendo reiteratamente esercitato la giurisdizione in modo non obiettivo né equo rispetto alle parti nonché senza senso della misura e senza moderazione”. Questi dunque i precedenti e l’attesa di una sentenza epocale. Il collegio giudicante è presieduto dal giudice Roberto Spanò sul quale peserà la responsabilità del verdetto.
E se in ogni campo giudicare gli appartenenti alla propria categoria non è mai facile, nella giustizia penale e nei giudizi a carico di magistrati, anche molto importanti, è una sfida di enorme gravità. A questo magistrato servirà una grande forza per esser davvero imparziale ed equilibrato, a differenza di quanto rimproverato spesso al suo imputato principale, e soprattutto servirà una capacità di esercitare la giurisdizione nella piena consapevolezza di decidere sul modus operandi dell’agire di un pubblico ministero. L’oggetto del giudizio è infatti come comportarsi da pubblico ministero, a quali principi e norme si deve attenere un pubblico ministero, nelle indagini, come nel dibattimento, e soprattutto con riferimento all’acquisizione delle fonti di prova ed al loro utilizzo.
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