Attualità

L’euroburocrazia al di sopra della politica

di Michele Gelardi -


La sig.ra Lagarde è particolarmente permalosa. Non accetta critiche al suo operato, ancorché espresse con modi e toni garbati. Il sussiego e l’altezzosità le impediscono di prendere in considerazione la pur minima osservazione e le impongono di tacitare chiunque. Il copione è stato scritto tante volte; pochi giorni fa si è ripetuto all’indirizzo del ministro degli esteri italiano, invitato cordialmente a tacere su una materia (il tasso ufficiale di sconto) di esclusivo interesse della sua “azienda di famiglia” chiamata BCE. Il buon Tajani, che notoriamente ha improntato la sua carriera politica, in Italia e in Europa, a moderazione e prudenza e ha sempre fatto movimenti felpati con lentezza e circospezione, schivando tutte le possibili polemiche e controversie, aveva osato timidamente enunciare una sua vaga suggestione, del tipo: I have a dream. Il suo dream era che il tasso di interesse della BCE scendesse di mezzo punto; e come tutti i dreams non corrispondeva appieno alla realtà, ma si discostava – o si approssimava secondo il punto di vista – di un quarto di punto. Per nulla suggestionata dal dream di Tajani, non meno ecumenico e umanitario di quello di Martin Luther King, la sig.ra Lagarde si è sentita punta nel vivo e ha risposto piccata: “non siamo soggetti a pressioni politiche di alcun tipo”.

Ovviamente, pensarla diversamente da lei equivale di per sé a una “pressione” indebita. Qualcosa di simile alla “lesa maestà” del tempo che fu. Tra il “sognatore” e la “permalosa”, dal punto di vista umano e caratteriale, preferiamo il primo; ma la diatriba ha un aspetto istituzionale, ben più rilevante, perché rende palese, oltre ogni dubbio, l’arretramento del potere politico di fronte ai poteri c.d. tecnici. Certamente la risposta della sig.ra Lagarde è stata anche dettata da fattori caratteriali e colorata, oltre misura, dall’attitudine ad alzare le sopracciglia francigene; ma in verità è legittimata da una precisa norma del Trattato, che non si limita a riconoscere autonomia alla BCE, ma la sottrae perfino a qualsivoglia tentativo di “influenza” delle autorità politiche. L’art. 130 del TFUE impone agli organi politici – dell’Unione e degli Stati – di “non cercare di influenzare i membri degli organi decisionali della Banca centrale europea o delle Banche centrali nazionali nell’assolvimento dei loro compiti”. E si capisce che manifestare un’opinione non è altro che un tentativo di influenzare l’opinione altrui. E come il dream del reverendo King, di vedere bianchi e neri seduti gli uni accanto agli altri, è stato innegabilmente un tentativo di “influenza” o “interferenza” nella politica di apartheid; così il dream tajaneo del mezzo punto può essere letto, a Francoforte, come tentativo di “influenzare” la decisione del quarto di punto.

Da qui il perentorio invito al silenzio. Insomma, il ministro degli esteri può sognare, ma solo di notte e in silenzio; al suo risveglio è pregato di dimenticare i sogni notturni. E dunque siamo giunti, grazie alla lodatissima Unione Europea, maestra di vita e di virtù, al punto che i “rappresentanti del popolo”, i quali godono dell’investitura elettorale ed esercitano un mandato politico nel nome e nell’interesse del popolo rappresentato, possono discettare di tutto, ci mancherebbe altro, perfino del “sesso degli angeli”, ma non devono “cercare di influenzare” le determinazioni insindacabili, indiscutibili e perciò arbitrarie della BCE, i cui organi, sia detto per inciso, non sono elettivi. Quale dimostrazione più lampante che il potere dell’euroburocrazia sopravanza quello della politica? Ma se indietreggia la politica innanzi alla burocrazia, per ciò stesso non è vulnerato il principio della sovranità popolare? E l’assetto istituzionale dell’Unione Europea, burocraticamente orientato, può dirsi ancora democrati o almeno democraticamente orientato, se le decisioni della superburocrazia, direttamente valide e vincolanti erga omnes, non sono nemmeno commentabili?


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