Attualità

Senza Zuccheri Aggiunti – Dissing, non chiamatele canzoni

di Nicola Santini -


Secondo il mio modestissimo parere, il dissing tra Tony Effe e Fedez, di cui si parla senza sosta da quasi una settimana, a livello di comunicazione, ha la valenza più o meno di una gara di rutti. Una volta, “mandarle a dire” era l’arte sottile di lanciare frecciatine e messaggi indiretti, magari attraverso terze persone o con mezzi più discreti, come il famigerato “pizzino” — non quello strettamente mafioso, ma il rimbalzo via passaparola di parole pungenti e critiche velate, destinate con precisione. Oggi, invece, tutto è cambiato. Ora che la visibilità è la moneta più preziosa, queste dinamiche si sono involute e trovano nuova vita in un contesto molto diverso quale, appunto, il dissing. Che è basso portinariato ribrandizzato in inglese che fa sempre più chic, secondo questi. In particolare nel mondo dei rapper per mancanza di contenuti, il dissing è diventato l’equivalente moderno del mandarle a dire, ma in modo diretto, pubblico e amplificato all’estremo. I rapperini, spesso legati al “polmone artificiale” dei social media e della fama a ogni costo, si scagliano l’uno contro l’altro in una gara di insulti e provocazioni, con l’obiettivo non solo di screditare il rivale, ma anche di guadagnare visibilità e consenso, specie se di mezzo c’è il lancio di un brano più o meno inascoltabile. Il dissing non è solo una sfida verbale, ma anche un meccanismo per restare sotto i riflettori, in un mondo che premia chi fa più rumore. Rumore, appunto. Chiamatele canzoni e vi tolgo il follow.


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