Attualità

Dietro l’emergenza in Emilia Romagna: mani legate dal 1906 e dai talebani dell’ambientalismo

di Angelo Vitale -


Non c’è più tempo, non c’era neanche prima di questa ennesima emergenza, in Emilia Romagna: dietro, un doppio scandalo. Al telefono Andrea Betti, titolare di un’azienda agricola di Riolo Terme, quasi 6mila anime prima delle colline della Valle del Senio, in provincia di Ravenna. Qualche giorno fa – prima della notte che ha nuovamente flagellato la zona – Betti, presidente Confagricoltura Ravenna e vice del presidente regionale Marcello Bonvicini che ieri ha puntato nettamente il dito contro l’immobilismo che grava in regione sulle opere indispensabili al territorio, aveva riunito alcune decine di agricoltori per rinnovare la denuncia e l’appello a “fare presto” circa terreni ancora improduttivi, stalle svuotate, allevamenti trasferiti altrove, bacini irrigui non utilizzabili.

Denunce che cadono – accade spesso in Italia – nel vuoto. Giorni fa lanciavano l’allarme su quell’emergenza che non era passata. Oggi Betti conferma che si è aggravata. Un anno fa, nella vicina Brisighella, l’assessore alla Protezione civile parlava di frane forse quantificabili in un migliaio. Betti racconta quella che insidiò la sua azienda, senza neanche una polemica aspra ma solo con l’evidente sconforto di ripartire da capo, dopo aver speso denaro per una perizia necessaria ad un risarcimento non arrivato e in merito al quale ora è indeciso se provare nuovamente a chiederne uno nuovo.

Fin qui l’indispensabile rimostranza personale, ma la questione è generale e più ampia. E, a nostro avviso, rivela un doppio scandalo, nell’ascoltare le sue risposte alla nostra domanda sui veti e sui lacci che hanno impedito e frenato la realizzazione delle opere. Un doppio scandalo noto a tutti, senza che nessuno si sia seriamente adoperato per affrontarlo. “La materia – spiega Betti – è regolata innanzitutto da un Codice Regio del 1906, che individua i privati nei proprietari delle arginature dei fiumi ove è stato sempre urgente intervenire”. Privati che si vedono intralciati a provare a fare, ogni volta insidiati dal rischio di denunce. Istituzioni locali che, sostanzialmente, si dicono impedite a compiere la loro parte. Un Codice Regio ove le competenze sono molteplici, per provare a modificarlo, come abbiamo provato ad accertare. Due ministeri, il Mit e il Mase, la Regione e i Comuni, gli ingegneri e i geologi, le associazioni ambientaliste e il mondo accademico e chissà chi altro ancora. Ognuno a precisare, sollevare dubbi e interrogativi, introdurre variabili di pensiero. Senza un risultato, finora.

C’è poi la motivazione precisa dei veti ambientali che, circa le cause dell’emergenza, ieri denunciava Bonvicini. “Non si parla più di dighe – precisa Betti – ma solo di laghetti, piccoli invasi. Mentre invece servono opere solide. C’è un’iniziativa che frena molto ovunque, Natura 2000, che mette il no su tante opere necessarie badando innanzitutto a preservare le specie selvatiche. Noi pensiamo che, come per ogni cosa, vada cercato e raggiunto un equilibrio necessario circa le urgenze di un territorio, senza cedere agli estremismi esasperati, da qualunque parte vengano”. E poi ci saluta, ritornando amaramente a confrontarsi con la frana che grava sulla sua azienda: “Avevo già perso molto, ora per me è condannato pure il prossimo seminativo”.

Natura 2000, lo dice il suo nome, ha provato da quell’anno – definita da una Direttiva Ue di 8 anni prima – a realizzare una rete dei siti e delle zone per la protezione e la conservazione degli habitat e delle specie, animali e vegetali. Una rete, talvolta frammentata in alcuni Stati membri, spesso fonte di polemiche, in qualche modo battistrada di quella Nature Restoration Law approvata in Europa all’inizio di quest’anno.

In Italia, una rete perfino criticata nella sua attuazione da alcune delle associazioni ambientaliste, come il Wwf e la Lipu. Ma comunque specchio di una influenza dell’ambientalismo radicale che ha sempre anteposto la necessaria tutela della biodiversità ad ogni iniziativa che puntasse a intervenire sull’assetto del territorio. Di fronte alla quale, per interesse politico o semplicemente per disinteresse, le istituzioni nel loro complesso hanno sempre guardato da un’altra parte, anche perché Natura 2000 consente e assicura contributi agli Stati membri, che da questi vengono trasferiti alle Regioni.

In Emilia Romagna le aree della rete Natura 2000 sono 167, si ampliano e nuove se ne aggiungono, come racconta il sito web della Regione oggi retta da Irene Priolo. In quante di esse le urgenze dell’assetto idro-geologico hanno totalmente ceduto il passo al richiamo necessario della biodiversità senza raggiungere l’equilibrio utile ad evitare quanto sta frequentemente accadendo, con un’emergenza continua?


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