Editoriale

Siamo in mezzo a due guerre

di Adolfo Spezzaferro -


Siamo a un passo da un’escalation sia sul fronte orientale che su quello mediorientale. Siamo a un passo dal rischio più che concreto di un conflitto su larga scala in cui verrebbe inevitabilmente coinvolta l’Europa, oltre che la Nato. Quello che è più allarmante è che se sul fronte della guerra tra Ucraina e Nato da una parte e Russia dall’altra, la corsa a un coinvolgimento diretto dell’Alleanza Atlantica nel conflitto è la diretta conseguenza della volontà dell’Ue di dare carta bianca a Zelensky di colpire i russi a casa loro, sul fronte mediorientale, invece, con la terza guerra israelo-libanese, scoppiata ieri, sarebbe coinvolto il contingente Unifil (tra cui 1.200 italiani) esattamente nel mezzo del teatro bellico.

Difficile dunque non coinvolgerlo, visto che la Forza di interposizione delle Nazioni Unite sta lì proprio per evitare che Hezbollah dal Libano avanzi verso Israele o (come invece sta accadendo) le forze di Tel Aviv avanzino verso la Terra dei Cedri. Ora dunque siamo esposti a un possibile conflitto esteso, con una risposta pesante da parte di Mosca agli attacchi ucraini sul suo territorio e l’intervento diretto delle forze Nato. E siamo in ogni caso coinvolti, a meno che il contingente Unifil non sia subito dislocato altrove, in un potenziale conflitto esteso in Medioriente. Ieri il leader di Hezbollah, Nasrallah, ha dichiarato che se l’Idf intende invadere il Libano i miliziani saranno lì pronti a rispondere colpo su colpo. Ora, è vero che Hezbollah può fare male a Israele (molto di più di ciò che resta di Hamas), ma è anche vero che per adesso il Partito di Dio non ha dichiarato ufficialmente guerra a Tel Aviv in risposta all’attentato del 17 e del 18 settembre, con l’esplosione comandata a distanza dei cercapersone e dei walkie-talkie dei membri di Hezbollah in Libano e Siria.

Il quadro è molto preoccupante: Zelensky vorrebbe attaccare Putin con la massima potenza possibile e l’Europarlamento ieri ha dato l’ok all’uso delle armi Nato sul territorio russo. Netanyahu vuole una guerra permanente su ogni fronte possibile, come a dire al mondo che Israele combatterà ogni suo nemico fino a che non lo avrà eliminato. Il governo di Tel Aviv non si ferma a Gaza e ora attacca il Libano, anche perché un minuto dopo la fine delle operazioni militari, l’esecutivo di Bibi cadrebbe. Altro problema è che dal canto loro, gli Stati Uniti, che in passato hanno cercato di frenare Netanyahu, ieri hanno annullato il viaggio in Israele del segretario alla Difesa Lloyd Austin. Una decisione che suona pericolosamente come un via libera alla guerra contro Hezbollah. Ossia il nemico più pericoloso e potente alle frontiere dello Stato ebraico, che ha sfatato il mito della invincibilità israeliana già due volte, nel 2000 obbligando a una ritirata precipitosa dal sud del Libano occupato e nel 2006 con la guerra voluta dall’allora premier Sharon e che finì per rafforzare Hezbollah invece di eliminarlo.

Stavolta Tel Aviv ha sferrato prima un attacco senza precedenti, definito da Nasrallah come un attentato terroristico genocida, nel tentativo di colpire i miliziani a casa loro prima di attaccarli apertamente con le forze militari. C’è chi definisce le esplosioni dei cercapersone e dei walkie-talkie come un attentato su larga scala, mirato a fiaccare Hezbollah certamente, ma anche a terrorizzare la popolazione, dando la sensazione che nessuno è al sicuro, neanche per le strade di casa sua, lontano dai combattimenti in campo aperto. Inoltre è un messaggio inviato all’Iran, che non può permettersi che Hezbollah perda contro Tel Aviv. Ecco perché Netanyahu va fermato prima che il conflitto si estenda pericolosamente a tutta la regione. Il punto però è: chi lo può fermare? Forse potevano farlo gli Usa, ma si sono appena tirati fuori. I venti di guerra spirano sempre più forte verso l’Europa.


Torna alle notizie in home