Attualità

L’Italia agli over 70: una gerontocrazia senza ascensore generazionale

di Eleonora Ciaffoloni -


“La pensione? Fino all’ultimo respiro resisto”. A dirlo è il decano giornalista e scrittore Corrado Augias, nell’annunciare il suo ritorno in tv con la trasmissione di La7 “La Torre di Babele”. Un impegno preso alla – possiamo dire veneranda – età di 89 anni. C’è da chiedersi se nel panorama dell’intrattenimento televisivo non ci sia un’altra scelta più giovane, o almeno più “giovanile” per portare avanti il palinsesto. Potrebbe esserci, sicuramente, e non è di certo un problema ascrivibile al citato Augias. Il problema è rappresentato dalla mancanza di approccio, ma anche di interesse, al cosiddetto svecchiamento. E no, non parliamo solo di tivvù, anzi. Il circolo chiuso dedicato agli over 70 si allarga e sguazza tra la politica e le principali posizioni di governance del nostro Paese: e questo si chiama Gerontocrazia.

Un fenomeno che si potrebbe ascrivere alla speranza di vita in ascesa e alla natalità in calo, ma che potremmo anche definire un corollario della democrazia, visto che chi comanda oggi, al mondo, non rientra neanche più nella fascia della mezza età: Biden (81 anni) Trump (78), Putin (71), Modi (74) e Xi Jinping (71). Basti pensare che il nostro Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, lascerà il Quirinale all’età di 86 anni. E se negli Stati Uniti uno dei modi di dire di chi bazzica in politica è che “Dopo Reagan nessuno è troppo vecchio”, forse ad oggi qualcuno troppo vecchio lo è. Vecchiaia che avanza di pari passo con l’attaccamento alla poltrona e nel nostro Paese la “cattiva” abitudine di lasciare al più tardi (talvolta fino alla morte) il posto di potere è condivisa da molti. Il compianto Silvio Berlusconi non ha fatto un passo indietro fino al suo ultimo respiro e anche dopo la sua scomparsa è stato il suo ricordo a influenzare la campagna elettorale. Da esempio sembra esserlo stato per i suoi fedelissimi come Fedele Confalonieri, 87 anni, che è ancora il presidente di Mediaset, carica che ricopre dal 1996.

O anche Gianni Letta – presidente della Fondazione Civita dal 2013 – che ancora a 89 anni, “ufficialmente” fuori dai giochi, rappresenta quell’eminenza grigia che entra e aggiusta i movimenti della politica italiana e che organizza – per ultimo quello tra Draghi e Marina Berlusconi – gli incontri che cambiano gli equilibri di potere. Tra potere e “partecipazione”, come non citare altri due “grandi” – inteso di nomi e di anni – l’imprenditore, costruttore e editore Francesco Gaetano Caltagirone, 81 anni, e l’ottantenne Antonio Angelucci, re delle cliniche private del Lazio nonché uno degli editori più influenti del Paese e per ultimo, anche onorevole. Di certo a fargli compagnia in Parlamento non sono pochi: il presidente del Senato Ignazio La Russa occupa il posto di seconda carica dello Stato a 77 anni e di over 70 come lui a occupare le poltrone ce ne sono. Vedi i ministri Carlo Nordio (77 anni) e Maria Elisabetta Alberti Casellati (78 anni), ma anche altri parlamentari come Umberto Bossi (82 anni), Rita Dalla Chiesa (77 anni) e Mario Monti (81 anni). Non che fuori dal parlamento chi ancora conta nei partiti sia giovanissimo, come il dem Pierluigi Bersani (72 anni) e Emma Bonino (76). Uno spiraglio a questo trend lo danno alcuni dei premier degli ultimi anni, tra cui Giorgia Meloni entrata in carica a 45 anni. Una luce in fondo a quel tunnel in cui si è bloccato l’ascensore generazionale. L’aggrapparsi vita natural durante a una posizione di potere impedisce alle cosiddette nuove leve di (almeno) avvicinarsi al traguardo, e allo stesso tempo non fornisce vere e proprie prospettive a chi cerca (in parte) di sgomitare per arrivarci.

Uno dei motivi dietro alla smania della poltrona si cela dietro alle convinzioni di una generazione intera, che ha goduto di condizioni estremamente favorevoli come l’esplosione economica e l’aumento drastico dell’istruzione e della tecnologia, che hanno permesso alla campana demografica di oggi, di sbilanciarsi verso l’alto. Questo fa sì che la pensione arriva sempre più tardi e che il potere politico delle nuove generazioni si è ridotto: non solo per età. La classe dirigente è satura, gli spazi sono pochissimi spazi e, anche a livello imprenditoriale, le possibilità di entrare ai vertici dirigenziali sono quasi impossibili prima della mezza età. Un ascensore generazionale bloccato significa che le decisioni vengono prese dalla parte più anziana della popolazione e pertanto, anche il maggior gruppo di consenso è rappresentato la parte più anziana della popolazione. Non ci possiamo sorprendere se i giovani si allontanano dalla politica e non ci possiamo che chiedere: l’Italia è un Paese per vecchi?


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