Cinema

Flaminia, la sorellanza che “fa ridere ma anche riflettere”

di Eleonora Ciaffoloni -


“Fa ridere ma fa anche riflettere” è una di quelle frasi fatte che utilizziamo quando dietro una risata si nasconde una questione dal significato più amaro, o almeno, più ampio e “studiato”. Ed è così che si presenta il film Flaminia, l’esordio alla regia della stand-up comedian Michela Giraud, prestata a vestire i panni della protagonista tutta vizi e sfizi di Roma Nord. La pellicola uscita ad aprile al cinema è arrivata nei giorni scorsi sulle piattaforme di streaming (Sky, Now Tv e Prime Video) e sta riscuotendo più successo di quanto non abbia fatto sul grande schermo. Perché forse, usando il leitmotiv della sceneggiatura, questo film è entrato “nelle case degli italiani” portando quella comicità un po’ alla Vanzina che ormai si vede veramente di rado al cinema e in tv. E forse anche perché dietro le maschere irriverenti, le macchiette e le esasperazioni da teatro (con tanto di svenimenti da catapultarsi sul divano), c’è una storia reale, attaccata al vissuto della protagonista-regista e, un po’ alla vita di tutti noi. Vita che non è perfetta e che nasconde, dietro a stereotipi, diete stringenti (“Non mangio una carbonara dal governo Monti”) e appuntamenti dal parrucchiere, anche dei trascorsi familiari che non si portano come vetrina tra le vie dello shopping (“Io sono… la figlia… del padre…”).

Ed è infatti così che, nella vita perfetta di Flaminia – assistente alla cattedra di Diritto Civile all’ Università La Sapienza di Roma e promessa sposa all’erede cocainomane (Edoardo Purgatori) di una famiglia “perbene” di Roma Nord – (ri)entra come un terremoto la sorella Ludovica, interpretata da una straordinaria Rita Abela, una trent’enne con la sindrome di Asperger appena uscita dalla comunità per aver dato fuoco a un materasso. Un rientro che rompe la routine familiare (“Quella piromane è tua sorella”) e anche il prestigiosissimo vaso che sembra contenere anche l’anima dalla madre di Flaminia (Lucrezia Lante della Rovere). Ma il conflitto tra le due sorelle si esaurisce quasi subito. È da questo momento che le risate cedono il passo a quella riflessione di cui parlavamo all’inizio. Quel mondo di apparenze, di cene di gala e di amiche fatte con lo stampino, inizia a sgretolarsi: ma non a rompersi. Si scrosta bensì quel muro ridipinto negli anni di rosa e nuvolette, che nasconde le piccole (e le grandi) passioni del passato, condite con un liberatorio bagno al mare e due etti di pasta sulla spiaggia. Si libera anche quel senso di inadeguatezza portato avanti da chi come Ludovica non è mai nel posto giusto, ma anche chi, come Flaminia, non è mai come la società le impone di essere. E ci si libera, infine, di quella patina di incomprensione che la maggior parte di noi posa sopra al grande tema della disabilità e alle difficoltà con cui ogni giorno le famiglie si trovano a fare i conti. Tutto accade velocemente, forse troppo, ma è un sorriso, liberatorio, finale che ci fa commuovere: perché insieme ai titoli di coda arriva quella consapevolezza di un retroscena privato che è più forte di una battuta sullo schermo.


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