Editoriale

Ecco perché Trump vincerà

di Adolfo Spezzaferro -


All’indomani dei commenti d’oltreoceano sul duello in tv tra il candidato repubblicano Donald Trump e la candidata democratica Kamala Harris alla Casa Bianca, i giornaloni di sinistra del Belpaese continuano imperterriti a celebrare la vittoria della vicepresidente di Joe Biden e a girare il coltello nella piaga dell’ex presidente, “messo alle strette” dalla grande novità liberal di cui il mondo sentiva tanto il bisogno. Una narrazione cretina, di chi ripete a vanvera certi slogan senza andarsi a vedere i fatti, i numeri, in una parola: la realtà degli Usa. Noi in tempi non sospetti avevamo scritto – ora lo dicono un po’ tutti quelli non di sinistra – che la Harris piace più a certi europei che agli americani.

Il perché è ovvio e lo riscriviamo: quel tipo di sinistra sconfitta alle ultime elezioni europee vede nella Harris una Schlein che ce la può fare. Abbiamo letto che la sua forza è che ha messo d’accordo tutti i dem, comprese le dinastie più potenti, come i Clinton e gli Obama. Fulgido esempio di campo largo vincente, è il suggerimento che arriva dagli analisti della politica americana. Abbiamo letto che la sua forza è che rappresenta la novità (niente di più falso, ma ci arriveremo a breve). Insomma, per Repubblica, Domani e soci, la Harris ha già vinto. Così ovviamente non è.

Però vogliamo citare una lunga disamina del Washington Post, autorevole, rispettato e preso quindi molto sul serio negli Usa su The Donald. Ci interessa perché vogliamo rigirare la frittata, ma a fin di bene. Allora il quotidiano Usa afferma che il grande limite di Trump è che è in grado di rivolgersi soltanto al suo elettorato, che sa parlare soltanto a quegli americani che vedono in lui un punto di riferimento, una guida. Con l’aggravante di utilizzare argomenti e suggestioni le più becere, al limite del complottismo, ripetute sui social, perché fanno presa su certi elettori. La prova provata sarebbe proprio l’esito del duello tv: Trump usava un linguaggio che va bene soltanto per i suoi elettori, per la sua gente. Inoltre si rinfaccia al tycoon che è abituato ad avere un pubblico che è d’accordo con lui.

Per questo nel confronto tv avrebbe avuto difficoltà con la Harris, in grado al contrario di parlare a una platea più vasta. Gli sono state contestate inesattezze e bugie (i factchecker in effetti si sono concentrati molto sulle sue risposte, pochissimo – quasi zero – su quelle della Harris). Gli si contesta che ha detto una scorrettezza affermando che “probabilmente si è preso una pallottola in testa a causa delle cose che loro (Biden e Harris, è sottinteso, ndr) dicono di me”. Il clima d’odio montato ad arte contro Trump in verità potrebbe invece essere una concausa dell’attentato che ha subito. Negarlo è pura malafede.

In questo senso, i cattivi maestri, quando sono a sinistra o comunque contro la destra, sono sempre un po’ meno cattivi, anche per i giornali e le tv, non solo per i candidati. Con la differenza che in America è molto più facile sparare a qualcuno. Il punto però è un altro: capovolgendo la teoria del Washington Post, la grande forza di Trump è come si rivolge agli americani. Il linguaggio, gli argomenti che utilizza. Probabilmente fanno inorridire le anime belle liberal di New York e di San Francisco ma, appunto, non la stragrande maggioranza degli americani. Trump la prima volta ha vinto con i voti degli operai, dei redneck, con i voti dell’America profonda, non con quelli degli attivisti di Los Angeles o dei radical chic di Manhattan. Con le dovute differenze e proporzioni, la forza di Trump è saper parlare agli americani come faceva Berlusconi con gli italiani. Ecco, quante volte ha perso il Cav? E quante volte ha vinto, invece? A tutt’oggi, negli Usa, l’unica reale novità nel campo della politica resta The Donald. La Harris è emanazione diretta delle dinastie dem, del deep state, dei soliti poteri forti. Trump, invece, ha sparigliato e può farlo ancora.


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