Il mercato del lavoro è in buona salute ma ancora troppi inattivi
In Italia il mercato del lavoro è in buona salute ma resta ancora troppo alto il numero degli inattivi. La vera piaga, annosa, che affligge il Paese di chi né studia né lavora. I dati pubblicati dall’Istat nel report relativo al mercato del lavoro nel secondo trimestre di quest’anno presentano buoni numeri tanto sul fronte dell’occupazione quanto su quello della disoccupazione. Gli occupati, in Italia, sono aumentati, complessivamente, di ulteriori 124mila unità. Grazie al combinato disposto tra l’aumento dei dipendenti a tempo indeterminato (+141 mila, +0,9%) e degli indipendenti (+38 mila, +0,7%)che vanno a colmare il calo dei dipendenti a tempo determinato (55mila in meno per un trend stimato nell’1,9%). Una notizia importante perché rivela che le aziende italiane stabilizzano di più e fanno meno ricorso ad altre tipologie di contratti. Il trend dell’occupazione sale, così, al 62,2% mentre quello che riguarda la disoccupazione continua la sua discesa, cala sotto il 7% e si attesta al 6,8%. Un risultato più che positivo dal momento che un valore inferiore non si registrava dall’ormai lontano 2008 quando si attestò al 6,7%. Tuttavia i dati sulla disoccupazione danno l’Italia ancora indietro rispetto alle medie Ue dove il tasso si stabilizza (e lo farà fino al 2025) sul 6,5%. Inoltre resta bassa, rispetto alle altre fasce d’età, la percentuale di occupati tra i più giovani. Solo il 44,9% di coloro che hanno tra i 15 e i 34 anni hanno un lavoro a differenza del 77% nella fascia 35-49 anni e del 64,6% tra gli over 50.
Le buone notizie, però, sono contemperate dal “solito” problema che affligge, da qualche decennio, il mercato del lavoro italiano. il 33,1% degli italiani s’iscrive alla categoria degli inattivi, quelli che non studiano né lavorano. Ciò accade mentre le imprese riducono la loro lista di posti vacanti di un decimo di punto percentuale (2%) e cala anche il ricorso dalla cassa integrazione che scende a 7,5 ore ogni mille lavorate. Sale, infine, il costo del lavoro dell’1,9% per effetto dell’aumento delle retribuzioni (+1,7%, trascinate soprattutto da quei contratti collettivi nazionali che sono stati rinnovati da poco) e dei contributi sociali (il cui aumento è stimato nel 2,4%).
I numeri Istat sul mercato del lavoro dividono, come è ovvio, la politica e pure i sindacati. Ugl intravede “segnali incoraggianti” mentre la Cisl, pur applaudendo alle cifre, invita a concentrarsi sui “tre divari” che interessano “giovani, donne e Sud”.
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