Il Papa e il Grande Imam insieme perla pace nel mondo
Possiamo ritenere fondamentale l’importante accordo che Papa Francesco ha firmato, giovedì scorso, con il Grande imam di Giacarta, per impegnare le religioni a lavorare insieme per la pace e la salvaguardia del creato. Presenti dieci leader religiosi. Con l’occasione è stato inaugurato il tunnel dell’amicizia che unisce la cattedrale e la moschea nella capitale indonesiana. Con tale accordo, cristiani e musulmani, ma anche tutti i credenti delle principali religioni dell’Asia, sono chiamati a essere “punto di riferimento di una società fraterna e pacifica e mai motivo di chiusura e di scontro”.
Questa la ratio di tale intesa. Importante che le religioni non siano strumentalizzate a fini politici. Soprattutto, che non vengano delegittimate nell’esercizio delle loro funzioni spirituali, come recentemente successo per il conflitto russo – ucraino. Tutto questo, al fine di evitare le persecuzioni contro i cristiani, ancora troppo frequenti in ogni parte del mondo. Infatti, come noto, nell’antica Roma le autorità locali non ricercavano attivamente i cristiani; le loro comunità continuarono così a crescere, trovando anzi nel culto dei martiri nuovo vigore; gli imperatori Decio, Valeriano e Diocleziano, spinti anche da considerazioni politiche, ordinarono persecuzioni più attive e severe, che tuttavia non riuscirono a debellare mai completamente il cristianesimo. A tal proposito, anche Papa Francesco si è espresso affermando: “Ci sono più martiri oggi che nei primi secoli”. Infatti sono in aumento le discriminazioni o persecuzioni nei confronti del cristianesimo; basti pensare che la libertà religiosa rimane a rischio in varie parti del mondo. Attualmente, sono circa 365 milioni i cristiani perseguitati nel globo terrestre, facendo così del cristianesimo una delle religioni più perseguitata in assoluto. A tal proposito, come non ricordare i recenti accadimenti, per esempio, del 24 agosto scorso in Burkina Faso, laddove si è consumato un episodio di violenza a sfondo religioso, in cui hanno perso la vita tra gli altri anche 22 cristiani. Quindi in Burkina Faso gli scontri partono dal 2015, quando si è manifestata nel territorio la presenza jihadista. Tale attacco è stato il terzo subìto in circa 20 giorni, dopo quelli compiuti nella provincia di Nayala (4 agosto), con il rapimento di più di 100 uomini, non ancora ritrovati, e attacchi nei villaggi di Mogwentenga e Gnipiru (20 agosto), che hanno fatto scappare la popolazione. Il martoriato paese, purtroppo, non è l’unico a conoscere situazioni di recrudescenza in tal senso.
L’annosa problematica dell’attacco alla libertà religiosa è purtroppo dilagante nel continente africano e non solo, con numerosi scontri e spargimenti di sangue. Come è possibile constatare dai report redatti da Aiuto alla Chiesa che Soffre (Acs), la persecuzione ai danni dei cristiani ha raggiunto, ormai da anni, dimensioni globali. Il caso più famoso dell’ultimo anno, anche per le implicazioni diplomatiche e la vicinanza agli Stati Uniti, riguarda il Nicaragua; ma non vanno dimenticate altre situazioni come Afghanistan, Corea del Nord, Iran e Nigeria. Non si può derubricare la questione ad esclusivo appannaggio dell’intolleranza religiosa da parte di confessioni diverse. In alcuni paesi i fenomeni di violenza, di corruzione e di guerriglia attanagliano vasti strati della popolazione in ataviche e perduranti situazioni di problematiche irrisolte. Certo, il dialogo può recitare una parte da protagonista per risvegliare le coscienze. La missione del Santo Padre nei suoi viaggi all’estero – spesso in territori in cui la Chiesa può fare molto per le comunità locali – è encomiabile. Ma anche la comunità internazionale deve scendere in campo per arginare il problema. Il combinato disposto tra quest’ultima e la Chiesa universale può fare molto in tal senso. Fondamentale una presa di coscienza comune, affinché un rinnovato dialogo possa contribuire al risveglio dei cuori di chi, ancora oggi, è lontano dal concetto dei diritti e delle libertà.
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