Economia

Draghi: “Ci vogliono due piani Marshall per salvare l’Europa”

di Giovanni Vasso -


Qui o si rifà l’Europa o l’Ue muore, parafrasando Garibaldi, l’ex banchiere centrale Mario Draghi spara ad alzo zero con quel bazooka che una parte (consistente) dell’euroburocrazia sperava riposto, per sempre, negli stanzoni di Francoforte. Centosettanta proposte per un piano che lo stesso Mario Draghi presenta come epocale. Tanto nei numeri, nelle dimensioni, quanto nella missione che si prefigge. “L’Ue esiste per garantire che gli europei possano sempre beneficiare di questi diritti fondamentali. Se l’Europa non sarà più in grado di garantirli avrà perso la sua ragione d’essere”. Che fare? Semplice, occorre produrre di più. Più facile a dirsi che a farsi. Occorrerebbe poi, ha spiegato Draghi, essere più Unione e investire di più insieme. Insomma, fare debito comune, sul modello Recovery. Un’ipotesi di cui s’è parlato per mesi ma che è stata scacciata come un tarlo dai soliti frugali. Che, però, stavolta non potranno far finta di nulla. Perché è in ballo il futuro stesso dell’Europa. “Il fabbisogno finanziario necessario all’Ue per raggiungere i suoi obiettivi è enorme, sono necessari almeno 750-800 miliardi di euro di investimenti aggiuntivi annui, pari al 4,4-4,7% del Pil dell’Ue nel 2023”. Per capire quanto sia epocale la cifra evocata dall’ex premier italiano basti riportare le sue stesse parole: “Per fare un paragone, gli investimenti del Piano Marshall nel periodo 1948-51 equivalevano all’1-2% del Pil dell’Ue”. La strigliata ai falchi della Bce è nell’aria: “Abbiamo detto molte volte che la crescita sta rallentando da molto tempo nell’Ue, ma lo abbiamo ignorato. Fino a due anni fa non avremmo mai avuto una conversazione del genere perché in genere le cose andavano bene. Ma ora non possiamo più ignorarlo: le condizioni sono cambiate”. L’Europa, per Draghi, è giunta a un nodo cruciale della sua storia. Non è retorica ma la dura, durissima, realtà. L’ex premier individua innovazione, digitale e difesa come campi da privilegiare per gli investimenti e deplora la frammentazione delle misure di sostegno che si frantumano in mille rivoli nazionali e comunitari. Inoltre la stoccata all’euroburocrazia che affossa le piccole e medie imprese. E’ tutto da rifare, in Europa.


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