Cultura & Spettacolo

Aldo Cazzullo, quando Roma era padrona del mondo

di Redazione -


di GINO ZACCARI
“Civis romanus sum”, ossia “sono cittadino romano”, già dall’epoca di Giulio Cesare, chiunque fosse nato tra l’arco alpino e la punta estrema della Sicilia, avrebbe potuto dirlo. Se è vero infatti, che tutto è nato sui Sette Colli che affacciano sul Tevere, è vero anche che nei secoli, prima le genti italiane e poi quelle di tutto il bacino del Mediterraneo, sono entrate nel mondo romano contribuendo allo sviluppo di una civiltà che non ha eguali. La genesi stessa di Roma avviene per la fusione di tre etnie, (Latini, Sabini ed Etruschi) caso unico nel mondo antico dove il solo elemento di appartenenza era il sangue. Per Roma tutto si fonda sul rispetto e il riconoscimento di regole comuni: il diritto, che è uno dei suoi più importanti lasciti, lo prova il fatto che ancora oggi il diritto romano si studia in tutte le università del mondo. Nel suo testo, Cazzullo attraversa a grandi passi la storia millenaria di Roma, dimostrandoci che per certi versi questa non è mai caduta, ed è tutt’ora proiettata sulle vite di tutto l’Occidente.
L’impero universale con la Pax Romana hanno costituito il punto di riferimento di tutti i grandi del passato, da Carlo Magno e il suo “Sacro Romano Impero”, all’Impero tedesco dove la parola Kaiser, altro non è che Cesare. Ma anche Zar vuol dire Cesare. Napoleone era ossessionato da Cesare come oggi Mark Zuckerberg lo è da Augusto. Gli imperatori bizantini chiamavano loro stessi: Romani, e lo faranno poi anche i Turchi che li sconfissero mille anni dopo la caduta dell’Impero d’Occidente. I russi erano fieri di dire che se la prima Roma era caduta e lo era anche la seconda, Costantinopoli; la terza: Mosca, non sarebbe mai caduta, si sentivano loro, gli eredi dei quiriti. L’Occidente è cristiano perché Roma si è fatta cristiana, e il papa vi risiede non certo per caso.
La grande letteratura prima, e il cinema dopo, si sono sempre misurati con i grandi temi che la storia di Roma offriva. Gli Sati Uniti, che oggi si sentono investiti di un ruolo universale, hanno l’aquila nel loro simbolo, hanno costruito la loro capitale sulla pianta di un accampamento romano e hanno chiamato il centro del potere politico: Campidoglio. Ovviamente hanno un senato.
Potremmo andare avanti ore con questi esempi, ma è importante sapere, che uno dei motivi per i quali Roma resta una grande ispirazione per tutte le generazioni, è forse che “La storia romana non è solo storia di vittorie militari e di sapiente esercizio del potere: È anche storia di valori morali e civili. Di donne e uomini disposti a morire per la patria, per la comunità, per qualcosa che andava oltre se stessi”. Seppure “popolata da figure eccezionali – sottolinea Cazzullo – Roma fu innanzitutto un sistema: una cultura politica, una macchina militare, una costruzione segnata da un terribile realismo”, che però aveva bisogno di esempi da imitare e verso cui tendere. Il primo di tutti fu Enea, di lui ci parla Virgilio, il più grande poeta dell’antichità, amico di Augusto e mentore di Dante, ma anche di Petrarca, Ariosto e Tasso. Enea incarna i valori che i romani, soprattutto dell’epoca repubblicana, hanno creduto profondamente propri, questi infatti amavano Enea perché affrontava i nemici a viso aperto, mentre detestavano Ulisse che vinse con l’inganno e il sotterfugio. Enea è un eroe sconfitto ma che mantiene fede ai propri valori, quelli che i romani prediligono: la lealtà, la responsabilità, il senso del dovere. “Enea non è il più astuto né il più forte. È il più pietoso. E la pietas è la più romana delle virtù. Significa forza morale”.
Tra i riferimenti morali dei romani, Enea era in buona compagnia di personaggi reali o presunti tali: Cincinnato, che richiamato dal senato mentre era al lavoro nei campi, viene nominato dittatore, sconfigge i nemici che minacciano Roma, poi restituisce la carica e torna ad arare il suo campo. Oppure Orazio Coclide, che rimase da solo a difendere l’ultimo ponte sul Tevere mentre i propri compagni lo demolivano per impedire a Porsenna di assaltare la città. E poi gli Orazi, Muzio Scevola, Clelia e molti altri.
Giungendo alla fine di questo lavoro di Aldo Cazzullo, non si può non sentire orgoglio e nostalgia, ma più di tutti, la voglia di scrollarci di dosso vittimismo e antagonismi provinciali al fine di metterci di nuovo a costruire un grande collettivo, una comunità in grado di essere un esempio positivo nell’affrontare le sfide quotidiane, nel formare di nuovo una società solida e determinata. Insomma, Roma è ancora viva, e noi italiani lo siamo? Proviamo a dimostrarlo!


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