Attualità

Il diritto all’ “oblio” e quello alla “memoria”

di Francesco Da Riva Grechi -


Su questa testata, qualche giorno fa, nell’edizione del 31 agosto del settimanale L’identità7, nella rubrica EstereFatti, è apparsa l’interessante notizia di un progetto innovativo dell’Università di Barcellona chiamato “Synthetic Memories”, lanciato nel 2022, che utilizza l’intelligenza artificiale per recuperare e ricreare ricordi visivi perduti o mai documentati, offrendo alle persone la possibilità di rivivere momenti importanti del proprio passato. Si tratta di un progetto che supera la tecnologia digitale per volgersi, grazie all’intelligenza artificiale, verso scenari generativi e connettivi per ricostruire la memoria individuale e collettiva. Se nella prima era della digitalizzazione, dell’informatica e della creazione delle reti web, l’identità digitale personale era confinata in un’alternativa secca, essere visibili o scomparire nell’oblio, oggi con l’IA si apre uno spazio infinito di ricostruzione di identità sociali e storiche proprio grazie alla memoria. Sul piano giuridico, questo interessantissimo fenomeno si inserisce nel quadro degli ultimi scritti di un maestro insuperato di diritto della tecnologia come Stefano Rodotà concernenti una sorta di “diritto alla verità” che consisteva nel recupero, da parte di individui o di intere comunità, della propria identità storica ricostruendo le memoria condivise, che oggi diremmo “connesse”, che in precedenza erano state danneggiate da eventi storici o politici catastrofici, come dittature, guerre, dominazioni, deportazioni, genocidi. Sempre dal punto di vista giuridico, in questo caso, viene in considerazione la storicità del diritto concreto, che dipende da chi detiene il potere in un dato momento, contrapposta all’universalità di alcuni principi, nel senso del rispetto dei diritti umani fondamentali. Uno spunto che si offre in questa sede per disciplinare una realtà affascinante come “Synthetic Memories” è appunto il principio di verità, nel quadro di un nuovo umanesimo dell’applicazione tecnologica che allontani il rischio di una perdita del controllo aprendo all’utilizzo pragmatico delle enormi opportunità che si prospettano, sempre nel rispetto dell’identità e della dignità umana. Lo scenario offerto dallo studio spagnolo, nella nostra interpretazione “umanistica”, si scontra tuttavia con il triste fenomeno della “cancel culture”, che rappresenta un colossale tentativo di rimozione collettiva della propria identità storica. L’esatto opposto di quanto si veniva dicendo a proposito del progetto “Synthetic Memories”, che appunto vuole rafforzare la memoria delle proprie esperienze reali e concrete, amplificate al massimo dall’erompere dell’intelligenza artificiale. La “cancel culture” è l’antiumanesimo che si materializza, in tutte le sue manifestazioni di snaturamento dell’identità passata, senza avere una prospettiva futura, è pura distruzione. Se questo meccanismo penetrasse nella gestione dei progetti di intelligenza artificiale ci sarebbero dei seri problemi. Nè si può lasciare al solo ambito scientifico il controllo delle applicazioni tecniche, il secolo passato ha elaborato una infinita serie di teorie circa il rapporto tra l’uomo e la macchina, ma l’intelligenza artificiale è infinitamente più potente rispetto a quanto si poteva immaginare solo cinquanta anni fa. Un progetto come quello dell’Università di Barcellona, aiuta allora a dimostrare e divulgare gli impatti positivi e la sostenibilità delle tecnologie. In termini bioetici si parla di human enhancement per definire il fenomeno da un altro punto di vista, quello delle applicazioni sull’uomo per renderlo più performante sul piano fisico e mentale. In questo campo il concetto di limite è evidentemente essenziale per evitare la creazione, con l’intelligenza artificiale, di “mostri” umanoidi “geneticamente modificati”. I pericoli di natura culturale, come la “cancel culture”, e quelli di natura biologica, come la genetica incontrollata, si affrontano solo con una forte identità umanista.


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