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Minacce e bombolette incendiarie contro Moussa: verrà trasferito. La Gip: è mentalmente integro

di Angelo Vitale -


Moussa Sangare, il 30enne che ha confessato l’omicidio di Sharon Verzeni, verrà trasferito a breve dal carcere di Bergamo a un altro istituto penitenziario, per tutelare la sua incolumità. Nella casa circondariale di via Gleno, infatti – a quanto si apprende – sono state lanciate bombolette incendiarie e ci sono stati nervosismo e minacce da parte della popolazione detenuta, al momento dell’ingresso di Sangare.

Per la Gip del tribunale di Bergamo Raffaella Mascarino che ha disposto la custodia cautelare in carcere per lui, lo stato mentale del 30enne nel momento dell’omicidio di Sharon Verzeni era “totalmente integro”.

“Se pure le motivazioni addotte dall’indagato in ordine alla spinta che ha portato a commettere il fatto di sangue può destare qualche perplessità in ordine al suo stato mentale, nel momento di compiere l’omicidio però – è un passaggio dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere – la lucidità mostrata nell’adottare tutta una serie di accorgimenti sia nei momenti precedenti al delitto, come l’aver vagato in giro fino a incontrare il bersaglio più vulnerabile, e in quelli immediatamente successivi”, quando sfreccia in bicicletta, sceglie strade secondarie, perde il berretto che aveva in testa e torna indietro a recuperarlo, e “anche gli accorgimenti dei giorni seguenti”, quando nasconde coltello e indumenti, cambia capigliatura e modifica la bicicletta, “evidenziano uno stato mentale pienamente integro”.

“A fugare qualsiasi ulteriore perplessità – aggiunge la gip – c’è anche il fatto che” Sangare “è stato portato in psichiatria subito dopo l’ingresso in carcere e non è stata rilevata alcuna traccia di patologia psichiatrica né remota né recente”. La sera dell’omicidio – a quanto raccontato dal 30enne – non avrebbe consumato alcolici né droghe.

Rimangono singolari alcune parole del reo confesso: “Non l’ho buttato nel fiume perché ho pensato che avrei potuto trovarlo ancora lì. Volevo tenerlo per avere memoria di quello che avevo fatto, come un ricordo”. Così Moussa Sangare, durante l’interrogatorio in carcere di questa mattina, ha risposto alla gip Raffaella Mascarino che gli chiedeva come mai avesse sotterrato sulle sponde dell’Adda il coltello che lui stesso ha detto di aver usato per uccidere Sharon Verzeni e non lo abbia invece buttato nel fiume come gli altri tre di cui si è disfatto. Come se avesse intenzione di conservarlo, pur sotterrato, come una “reliquia” del brutale omicidio.


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