Francia-Durov: l’arresto e l’abuso del processo
Il Ceo di Telegram Pavel Durov, 39enne, dopo essere stato arrestato all’aeroporto Le Bourget di Parigi sabato 25 agosto è stato rilasciato dopo il pagamento di una cauzione di 5 milioni di euro; il miliardario è stato rinviato a giudizio, ha il divieto di lasciare la Francia ed è costretto a presentarsi due volte a settimana a una stazione di polizia. I capi di imputazione contenuti nella richiesta di rinvio a giudizio, compresa l’associazione per delinquere, sono in tutto dodici e molto gravi. Se ne è già ampiamente discusso su questo giornale. La responsabilità invocata potrebbe essere oggettiva e riguardare comportamenti altrui per i quali l’app ed il social network Telegram sono stati il supporto digitale. Altri hanno sviscerato gli aspetti politici e strategici di questo arresto, evidenziando come l’interesse preminente in gioco sia, con grande probabilità, la sicurezza militare, perché l’app di Telegram che pu contenere i segreti di intelligence, è criptata, indipendente ed accessibile solo a Durov in persona.
In questa sede si vogliono porre in luce gli aspetti procedurali della misura della custodia cautelare in carcere che ha adottato la Procura di Parigi ed il successivo rilascio su cauzione. Quest’ultimo istituto, che non si applica in Italia e che invece è di uso comune in Francia e negli Stati Uniti, ha una funzione importantissima, quella di evitare che un arresto si trasformi in un abuso. Né si pu dire che appartenga ad una giustizia solo per ricchi in quanto non a tutti è richiesto di pagare 5 milioni di euro. A ciascuno il suo.
L’ordinamento italiano è invece impostato secondo un’altra concezione di uguaglianza, più formalistica, e questo si riflette sulla possibilità di abusi soprattutto nel processo penale ed in particolare nella fase cautelare di esso, allorquando si verifica un uso distorto della carcerazione preventiva in vista di finalità che non sono inerenti all’accertamento dei reati in sé. È molto grave perché incide pesantemente sulla libertà personale di uomini che rischiano di essere rovinati da un processo che ha fondamenti solo mediatici, spesso aberranti dal punto di vista giuridico. Questo avviene di consueto in Italia ed invece non è avvenuto in Francia.
Tornando allora alla vicenda di Durov, sembra esserci molto di strumentale anche qui e nonostante il suo rilascio. La tutela dello spazio digitale europeo, secondo il “Digital Services act”, e la tutale penale rispetto a quanto si trova nel contenuto dei messaggi (che non è molto dissimile da quanto sia dato rinvenire negli altri sistemi di messaggistica criptati o negli altri social network) sembra un accusa volta più all’imposizione di una gestione francese della piattaforma e dei dati che vi transitano, che non alla tutela degli utenti dell’app. Un processo di decrittazione di tutto il sistema digitale di funzionamento della piattaforma avrebbe infatti come unico risultato solo quello di entrare nel controllo di Parigi. Quando sarà tutto “trasparente”, tuttavia, non ci sarà più nulla del fondatore Durov all’interno della sua creatura.
Dal punto di vista giuridico, che è quello che interessa in questa sede, il punto è: a prescindere dall’accertamento di reati quali quelli contestati, che avrebbero come logica conseguenza decine di anni di carcere, è giusto sacrificare a tal punto la creazione di un uomo, che ha anche la cittadinanza francese, calpestando sostanzialmente tutto quello che può farsi rientrare nei suoi diritti di proprietà intellettuale, della sua libertà di concorrenza, della tutela della privacy, in nome di interessi di stato, come quelli militari o quelli all’ingerenza pubblica nazionale nel controllo dei sistemi di crittografia? Qui si propende per una risposta negativa sul presupposto che il creatore di un app o di un sistema di messaggistica non sia responsabile dei contenuti che ivi si veicolano, salvo che si provi una sua condotta personale che abbia incidenza causale sui reati, a loro volta dimostrati.
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