Economia

Bollette, affitti e benzina al top: le spese obbligate costano il 122,5% in più rispetto al ’95

di Giovanni Vasso -

Bollette simbolicamente bruciate durante la manifestazione 'Insorgiamo', che a Napoli a visto sfilare in corteo movimenti antagonisti, esponenti dell'ecologismo come Friday for Future e sigle come 'Non paghiamo' che si oppongono al caro bollette. 5 novembre 2022. ANSA / CIRO FUSCO


Impoveriti dalle spese obbligate. Il grande tema di questi anni è la nostalgia. Il passato come età dell’oro, in tutti i sensi, che non tornerà. E fa di (alcuni) social una sorta di wunderkammer piena di tesori resi preziosi dall’ombra sfuggita della gioventù che fu. Si riscopre tutto. E, frugando nel passato, si scopre di tutto. Per esempio, si scopre che nell’ormai lontano 1995, circa trent’anni fa, le spese obbligate pesavano per il 5 per cento in meno sul portafogli degli italiani rispetto a oggi. I conti di Confcommercio rivelano quanto siano diventate esose le spese base, dall’affitto alla casa, dalle bollette alla benzina per l’auto, e quanti denari drenino alle famiglie. Per la precisione, secondo l’analisi pubblicata ieri dall’Ufficio studi dell’ente confederale, siamo ben oltre il 40%: le spese obbligate prosciugano i risparmi degli italiani e rappresentano, oggi, il 41,8% dei consumi delle famiglie. Un’enormità. Perfino rispetto a un’era molto più vicina a noi, quella pre-Covid. Quando il peso delle bollette, dell’affitto da pagare e della benzina non andava oltre il 40%. Una soglia che, oggi, diventa un obiettivo lontano e impossibile da raggiungere. “Le spese obbligate, soprattutto quelle legate all’abitazione – commenta Carlo Sangalli, presidente Confcommercio – penalizzano sempre di più i bilanci delle famiglie e di conseguenza riducono i consumi”. “Consumi – puntualizza Sangalli – che sono la principale componente della domanda interna”. Quella che, per capirci, ha retto le sorti dell’economia italiana nei suoi anni recenti più bui, quelli dalla pandemia in poi, riuscendo a coprire, per quanto possibile, gli ammanchi derivanti dal calo dell’export nazionale. Adesso, però, occorre far qualcosa. Perché se crolla la domanda interna siamo fritti. La proposta di Confcommercio è l’uovo di Colombo: “Per sostenere i consumi occorre confermare l’accorpamento delle aliquote Irpef e ridurre progressivamente, e in modo strutturale, il carico fiscale”, dice Sangalli. Chissà a Bruxelles che ne pensano di questa proposta. Già, perché l’Italia è finita nella lista dei cattivi, è sotto le rigidissime regole del nuovo Patto di stabilità (senza crescita) e dovrà tagliare spese per almeno 10-13 miliardi e sarà davvero difficile procedere a un taglio delle tasse senza che dalla Commissione Europea (qualora, come sembra, si avverassero le previsioni che pretendono una squadra di falchi per l’Ursula bis) si alzino i soliti peana nordici al rigore, all’austerità, al risparmio, alle tasse.

Senza avventurarsi a profetizzare cosa potrà accadere da qui a qualche mese, una rapida scorsa ai numeri sciorinati da Confcommercio rende, in soldoni (è proprio il caso di evocarli), quale sia la situazione con la quale le famiglie italiane hanno da fare i conti. Ogni anno poco più di 9mila euro se ne vanno, a fronte di un esborso medio in consumi pro capite stimato in 21.800 euro, per le spese “obbligate”. La voce più esosa è quella legata all’abitazione che “costa” alle famiglie poco meno di 5mila euro annui, per la precisione 4.830. Sono le bollette a far lievitare i costi. E lo fanno ininterrottamente, spiegano da Confcommercio, dal ’95 a oggi. E poi dice che a uno viene la nostalgia dei bei tempi andati, quando la luce costava di meno e si potevano mangiare anche fragole. Oggi, invece, si tira la cinghia: la stima degli analisti, infatti, rivela che nell’ultimo trentennio il valore delle spese obbligate è salito del 122,5%. Si paga più del doppio di quanto lo si facesse allora. Non è che sia andata chissà quanto meglio ai cosiddetti “beni commercializzabili” il cui aumento è stimato nel 55,6%. Dicono, da Confcommercio, che a pesare sia “un deficit di concorrenza tra le imprese fornitrici di beni e servizi obbligati”. Insomma, il libero mercato – almeno per ora – non c’è e dove c’è non è che abbia funzionato chissà quanto bene. C’è nostalgia, dunque, per quegli anni. E forse, più che le canzoni, i film, i motorini, le piazze e le immense compagnie, a dar loro ragione (almeno sul fronte della contabilità familiare italiana) sono i dati. Che parlano fin troppo chiaro.


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