Il drammaturgo Alione tra Umaneismo e Rinascimento
di MICHELE ENRICO MONTESANO
Giovan Giorgio Alione, poeta e drammaturgo di Asti a cavallo tra il XV e il XVI secolo, intreccia le sue commedie con la tradizione narrativa. Utilizza novelle in voga all’epoca e le riscrive adattandole al suo stile e al suo pubblico regionale. La novità dello scrittore astigiano è quella di non sacrificare mai la vis comica perdendo di vista la coerenza psicologica del personaggio. I suoi personaggi, nonostante quest’accortezza, sono facilmente ascrivibili a dei tipi, a delle maschere. Maschere non ancora fisiche ma sicuramente sociali e comportamentali. È il caso di Ambrogio, Biago o la Comare nella Farsa del Bracco e del Milanese. Alione riesce a far satira anche delle istituzioni sociali come nella Festa di Nicolò Spragna. L’intento di Alione, nel testo come nei personaggi, era di creare e rappresentare tratti grotteschi e caricaturali che chiunque avrebbe potuto facilmente riconoscere. Croce e delizia della sua produzione letteraria questo fu anche un suo limite. Per accedere più direttamente al pubblico Alione utilizzava comicamente la parlata dialettale, o storpiava la lingua straniera con lo stesso proposito. La Commedia dell’Arte ne riprenderà motivi e toni.
Il carattere eccessivamente regionale, addirittura cittadino nel quale si era confinato, gli impedirà di essere conosciuto ai più, talmente immediato nella sua cerchia più ristretta, totalmente ignorato al di fuori delle mura di Asti. Con gli stessi limiti incontriamo un altro autore contemporaneo di Alione, il napoletano Pietro Antonio Caracciolo. La sua produzione è andata quasi interamente perduta. Ma dai testi sopravvissuti come Dialogo di due Pezzenti e il Colloquio o Contrasto di uno Villano, due Cavaiuoli et uno Spagnuolo possiamo intendere che l’azione era interamente svolta in modo farsesco. Sicuramente, più tardi, il salernitano Vincenzo Braca prenderà ispirazione dai testi del Caracciolo per le sue farse Cavaiole. Per tutta la prima metà del Cinquecento perdurò l’amore per lo svago arguto e l’ingenuità popolaresca, si prediligevano forme sciolte di metro e di stile e il gusto era piuttosto riluttante ad accogliere gli schemi aulici e cattedratici. Insomma l’umanesimo significò anche – e in parte -anticlassicismo. Come il poeta Burchiello, padre del “non senso”, quasi surrealista:
Nominativi fritti e mappamondi
e l’arca di Noè fra duo colonne
cantavan tutti ‘Kyrieleisonne’
per la ’nfluenza de’ taglier mal tondi.
La luna mi dicea “Ché non rispondi?”.
E io risposi “I’ temo di Giansonne,
però ch’i’ odo che ’l dïaquilonne
è buona cosa a fare i cape’ biondi”.
Et però le testuggine e’ tartufi
m’hanno posto l’assedio alle calcagne,
dicendo: ”Noi vogliàn che tu ti stufi”,
e questo sanno tutte le castagne:
perché al dì d’oggi son sì grassi e gufi
c’ognun non vuol mostrar le suo magagne.
E vidi le lasagne
andare a Prato a vedere il sudario,
e ciascuna portava lo ’nventario.
È il sonetto più famoso del Burchiello, appartenente alla serie dei sonetti “alla burchia” ossia “alla piratesca, prendendo un po’ qua e un po’ là alla rinfusa” usando le parole del poeta stesso. Il Burchiello infatti era un’imbarcazione fluviale. Nella poesia, e più in generale nel filone, troviamo frequentemente doppi sensi: “l’arca di Noè fra duo colonne”.Ci fu un vero e proprio fiorire di mimografi, mimi buffoneschi e dilettanteschi come Gigio Artemio Giancarli o Giovambattista Giraldi, ed è all’interno di questo contesto di sperimentazione, di novità, di libertà e gioco, che possiamo capire come sia stata concepita e da dove provenga culturalmente la celebre commedia La Venexiana.
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