Cultura & Spettacolo

Il caso Elisa Claps tra fiction e docuserie

di Martina Melli -


“Per Elisa – Il caso Claps” è la serie targata Rai fiction, su uno dei casi più inquietanti e dolorosi della cronaca nera italiana: quello della ragazzina di Potenza scomparsa misteriosamente nel settembre del 1993 e ritrovata cadavere solo diciassette anni dopo. La serie, trasmessa per la prima volta a ottobre dello scorso anno in occasione del 30esimo anniversario dalla morte di Elisa, è ora su Netflix dove sta riscuotendo grande successo. In sei densissimi episodi, il regista, Marco Pontecorvo, ricostruisce in modo meticoloso l’intricato racconto giudiziario della vicenda, riuscendo a mantenere alta l’attenzione dello spettatore, e allo stesso tempo restituendo a questa terribile storia una rielaborazione narrativa sobria, naturale e autentica. Il personaggio di Gildo Claps, interpretato dal bravissimo Gianmarco Saurino, incarna la determinazione e la forza di un fratello che non si arrende di fronte all’indifferenza e ai depistaggi, ma continua a lottare per scoprire la verità.
Inutile dirlo, la produzione non riesce a emanciparsi del tutto dagli stilemi tipici delle fiction Rai, che, pur riuscendo a sensibilizzare e denunciare, a volte inciampano in una messa in scena calcata e didascalica. La regia, ad esempio, evita di mostrare le violenze commesse da Danilo Restivo, relegandole sempre fuori campo. Questa scelta, se da una parte protegge il pubblico, dall’altra edulcora eventi realmente accaduti. Altro neo: se la parte ambientata in Inghilterra risulta molto credibile, la rappresentazione della polizia italiana tende a cadere nello stereotipo con Beniamino Marcone, nel ruolo del detective Eufemia, che è il classico poliziotto buono perennemente in conflitto con i superiori.
Malgrado io non sia una fan delle fiction, specialmente di quelle basate su fatti di cronaca a cui preferisco di gran lunga inchieste podcast e docuserie (e sul caso Claps ce ne sono di molto valide) questa è davvero un buon lavoro, sopratutto per la sensibilità con cui tratteggia il dolore delle persone coinvolte. Lo spettatore di una serie crime o true crime, che si tratti di una detective story o di un procedural, ha aspettative ben precise, radicate nella familiarità con uno schema narrativo consolidato: la storia deve stimolare la curiosità, distribuire i sospetti e, alla fine, fornire una soluzione definitiva risolvendo il caso. Mentre i meccanismi del crime televisivo si basano sull’immaginazione degli sceneggiatori (o come in questo caso, su carte processuali e testimonianze dirette dei familiari della vittima), l’approccio documentaristico è guidato dal confronto diretto del filmmaker con la drammatica e complessa realtà del crimine.
I documentari raramente forniscono risposte; piuttosto spingono lo spettatore a porsi interrogativi e a riflettere su questioni socialmente rilevanti.
L’omicidio di Elisa, essendosi risolto con l’ergastolo a Restivo “oltre ogni ragionevole dubbio”, si presta molto bene (anche) al genere della fiction.


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