Economia

I POTERI CORTI – Anche i panifici possono

di Marco Travaglini -


Nel nostro Paese “bipolare”, il mondo tecnologico e dei servizi a valore aggiunto come la consulenza, e il mondo dei saperi e delle professioni, non considera affatto l’universo produttivo commodity e utiliy che abbraccia la maggior parte delle imprese italiane, oltre i contoterzisti.
Food e intrattenimento; settore horeca e turismo; agenzie commerciali di ogni genere; somministrazione e commercianti; artigiani di prodotti alimentari, per la casa, per l’automotive etc, sono una fetta enorme, per numero, peso produttivo ed occupazione.
Si tratta di settori storici del nostro Paese, legati ad un modello novecentesco di business, che guarda solo al prodotto e si crogiola su un Made in Italy capace di andare alla grande all’estero (per tutte quelle imprese strutturate in grado di fare innovazione ed esportazione), ma che stenta dentro i confini nazionali a causa della crisi permanente dei consumi.
Parlo di una grande fetta di imprese che, non considerando la comunicazione, i processi, la tecnologia, la cura delle risorse umane e la finanza come pilastri dell’attuale fare impresa, non riesce a generare margine, ne valore aggiunto.
È proprio questo il punto, altro il calo della domanda e dei consumi! Oggi, l’imprenditore deve essere in grado di creare una nuova offerta allettante, moderna e conveniente per i consumatori finali di cui egli stesso e i suoi dipendenti fanno parte; e se gli stessi sono pagati meno della media non è perché lui è “brutto e cattivo”, ma perché i margini sono finiti e manca la capacità di generare valore aggiunto. Stando così le cose, è del tutto inutile far piovere aiuti economici su soggetti che li gestiscono come un palliativo o, peggio, come zucchero per diabetici; ovvero immaginare impostazioni kenesiane di abbassamento delle tasse per rialzare i consumi di persone che non vogliono consumare cose e servizi di poco valore: bisogna portare innovazione basica, incrementale e culturale dentro queste aziende, prima che radicale e tecnologica. Mi viene in mente un panificio, in Abruzzo, con circa 50 dipendenti e 200 clienti tra supermercati e commercianti vari, un sito internet del ‘900 neanche responsive, senza un gestionale per il magazzino, con poca attenzione alla risorse umane, con processi di lavoro personalizzati ma con grande prodotto e volontà di fare. Ebbene, ci siamo entrati in punta di piedi: abbiamo affiancato l’imprenditore e spiegato con pazienza il cambiamento e l’importanza di un approccio incrementale per portare valore dentro l’azienda. Oggi, dopo anni di lavoro, quel panificio è un’azienda attenta alla risorse umane, con processi definiti, un sito e-commerce e una comunicazione anche digitale, un magazzino ed una filiera gestiti con una soluzione innovativa tutelata da brevetto e, soprattutto, con una visione industriale che, anche grazie ad una gestione finanziaria differenziata, all’accesso a fondi statali e ad una maggiore solidità per le banche, ha permesso, di aprire nuovi punti vendita. E’ l’offerta il problema per creare valore aggiunto, non la domanda.


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