Ricordando il Picconatore: 14 anni fa la morte di Francesco Cossiga
Sabato ricorre il quattordicesimo anniversario della morte di Francesco Cossiga: fu Capo dello Stato Picconatore, fu alla guida del Viminale nella tragica stagione della lotta armata e del sequestro di Aldo Moro. “Fu per me un onore sedere in Parlamento accanto a Palmiro Togliatti e anche a Giorgio Almirante”. Parole che a distanza di anni possono suonare come un invito a superare quegli steccati ideologici e quelle ripetute tentazioni a rimanere prigionieri del passato che quotidianamente inquinano il dibattito politico, senza nulla togliere agli inequivocabili giudizi consegnati dalla e alla storia. Cossiga le pronunciò il 27 maggio 2008, intervenendo nell’Aula del Senato in occasione della celebrazione del cinquantesimo anniversario della sua prima elezione in Parlamento.
“Fu per me un onore -affermò il presidente emerito della Repubblica- sedere in Parlamento accanto a Palmiro Togliatti, il grande leader politico del ‘partito nuovo’, che studiò, tra l’altro, nel mio stesso liceo, abitò lungamente nella mia città e –guarda caso– fu ospite nella casa della mia bisnonna, che –come lui stesso mi raccontava– era tanto buona che, poichè erano poveri, li invitava ogni giorno da lei”.
“Palmiro Togliatti che, insieme ad Alcide De Gasperi, preservò l’Italia -ricordò ancora Cossiga- da una guerra civile devastante, dopo che il nostro Paese aveva combattuto contro i tedeschi invasori quella grande guerra patriottica che fu la Resistenza, anche fermando quella guerra civile e di classe che, in nome di una irreale visione della posizione dell’Italia, di tante vittime fu causa, non solo ex appartenenti alla Repubblica sociale Italiana, ma anche antifascisti, partigiani, militari del Regno del Sud, preti, seminaristi, ragazzi del movimento cattolico, che furono uccisi in nome di un’utopia che poi, in nome di una Resistenza tradita ed incompiuta, generò, negli anni Settanta e Ottanta, la lotta armata”.
“Fu per me un onore anche sedere accanto anche a Giorgio Almirante, cui l’Italia molto deve -spiegò l’allora senatore a vita- perchè, attraverso la parlamentarizzazione dei giovani di Salò, come li chiamò giustamente l’amico Violante, avviò il processo di inserimento nella democrazia di coloro che erano stati fascisti o militanti nella Repubblica di Salò”.
“Tale processo -disse ancora Cossiga- fu iniziato a sinistra grazie alla larga (e di grande respiro) amnistia concessa da Palmiro Togliatti, Guardasigilli dell’epoca, contestato duramente dal suo stesso partito, per i reati commessi durante la Resistenza da partigiani, ma anche da membri delle Forze armate della Repubblica sociale italiana. Ciò che poi portò all’adesione di massa di ex militari della Repubblica sociale italiana al Partito comunista italiano in numeri che superano, come scrissero gli storici comunisti, 36.000 appartenenti”.
Oggi “è opportuno riflettere su quale eredità egli abbia affidato all’Italia di oggi – così Andrea Da Passano, curatore del volume sull’ex presidente della Repubblica “Una vita per la patria” -. L’atlantismo, costante caposaldo nel suo percorso istituzionale, le battaglie per avviare le riforme costituzionali e della giustizia, l’impegno per preservare i valori fondanti del cattolicesimo liberale, nel solco di De Gasperi e Sturzo, in un quadro di assoluta dedizione alla Patria: questo inestimabile patrimonio testimonia l’estrema attualità del coerente e coraggioso pensiero dello statista sassarese”.
Imperdibili, le sue lapidarie esternazioni sarcastiche nei confronti di alcune personalità politiche all’epoca centrali nella vita del Paese: Ciriaco De Mita, “bugiardo, gradasso, il solito boss di provincia”; Nicola Mancino “uno che “se sta al mare fa un gran bene al Paese”: Paolo Cirino Pomicino, “un analfabeta”; Antonio Gava, un personaggio su cui “non infierirò mai chiamandolo camorrista o amico di camorristi come per anni hanno fatto i comunisti”; Leoluca Orlando, “un povero ragazzo, uno sbandato, che danneggia l’unità della lotta alla mafia, mal consigliato da un prete fanatico che crede di vivere nel Paraguay del ‘600”; Achille Occhetto, “uno zombie con i baffi”; Stefano Rodotà, un “piccolo arrampicatore sociale, uomo senza radici, parvenu della politica”, Luciano Violante, “un piccolo Viscinski”; Giorgio La Malfa, “figlio impudente e imprudente d’un galantuomo”; Claudio Martelli, “un ragazzino”.
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