Vincenzo Galluzzo: “Parole taciute che toccano il cuore”
All’interno di Unomattina Estate conduce lo spazio “Le Parole che non ti ho detto”.
La lettera che Vincenzo Galluzzo affiderebbe al mare sarebbe per i suoi genitori: «Vorrei ringraziarli di tutto ciò che hanno fatto per me e per non avermi mai ostacolato».
Come li racconteresti a chi non li conosce?
Io sono un po’ un incrocio tra le loro sensibilità e storie. Da mia madre, figlia di un costruttore estremamente attaccato al soldo, credo di aver preso il pragmatismo. Da mio padre, in passato insegnante poi diventato amministratore delegato dell’azienda di mio nonno, una certa sensibilità per l’arte. Mia madre, ancora, era una donna parecchio decisionista. Ti dico solo questa cosa: io alle Medie andavo molto bene in disegno e avrei voluto fare il Liceo Artistico. Lei si impuntò a che io facessi il Classico come mio padre che, finchè è mancato, traduceva all’impronta latino e greco. Conservo ancora il suo dizionario.
Accennavi ad una vena creativa molto spiccata…
Ricordo che già a 10 anni facevo finta di essere insieme l’organizzatore, il conduttore e un concorrente del Festival di Sanremo. Organizzavo tutto nella villa del nonno, coinvolgendo anche gli altri bambini. Ho fatto teatro, sono stato speaker in radio e per questo non ho mai vissuto con ansia l’impatto diretto con il pubblico né ti posso dire di sentire una qualche differenza sostanziale tra lo stare dietro le quinte o in video.
A proposito di Sanremo, come giudichi il ritorno al comando di Carlo Conti per il biennio 2025-26?
Credo fosse la scelta più ovvia, all’insegna della sicurezza. Carlo è uno dei conduttori più amati e popolari della tv, in più ha già dimostrato di saper mettere in piedi dei Festival di qualità. Di lui mi piace il senso della misura, merce rara oggi, anche per “colpa” dei social.
In che modo i due media, social e tv, si sono influenzati negli anni?
Credo che di osmosi ce ne sia stata poca. I social aggiungono qualcosa al racconto televisivo solo se parliamo di generi specifici, come i talent o i reality.
E sul tanto decantato ricambio generazionale, a che punto siamo?
Io lo vedo, sta avvenendo. L’esempio più lampante è Stefano De Martino: lo tengo d’occhio da diversi anni, sentivo che avesse una marcia in più. Ha dalla sua una certa naturalezza, la cazzimma tipicamente napoletana e poi piace al pubblico femminile. E’ giocoso e perfetto per il varietà, lo vedo inserirsi nel solco di Fiorello, anche se hanno un modo di fare ironia ben diverso.
L’idea per “Le Parole che non ti ho detto” come nasce?
Nasce in Sicilia, a casa di mia cugina che è molto amica di Lucia Borsellino. Quando ci siamo incontrati, Lucia mi ha raccontato di quante cose non fosse riuscita a dire a suo padre Paolo, così io le consigliai di farlo attraverso una lettera. Leggendola è scattata la scintilla: ho capito che quello poteva diventare un programma televisivo. Ho girato due puntate pilota ed oggi finalmente il progetto ha avuto la sua prima grande occasione, grazie ad Angelo Mellone ed Elsa Di Gati, direttore e vicedirettore dell’Intrattenimento Daytime Rai. Non ti nascondo che dopo questo “test” mi piacerebbe che “Le Parole che non ti ho detto” potesse diventare un programma autonomo.
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