LIBERALMENTE CORRETTO – Il bar di Palais Berlaymont
A quanto pare il bar di palais Berlaymont, sede della Commissione europea a Bruxelles, è aperto al pubblico, ma non troppo; c’è una saletta interna, riservata a 5/6 personalità politiche che decidono le sorti dell’Unione. Lo sappiamo per bocca di uno dei grandi protagonisti di ieri, partecipe diretto di quelle confabulazioni al bar. Romano Prodi, pochi giorni fa, ha dichiarato testualmente: “se il voto di FdI era ridondante, contava un po’, se era determinante la Meloni avrebbe avuto l’incasso del bar … non posso pensare che von der Leyen non sia irritatissima … il problema sarà dopo: Meloni non sarà in quello che io chiamo il club, quei 5 o 6 Capi di Stato o primi ministri che decidono al bar …. i funzionari che hanno fiuto, quando ci sarà da picchiare sull’Italia, credo che lo faranno volentieri”.
Dalle parole di Prodi si può evincere, in primo luogo, una sorta di rimpianto “à la recerche du temp perdu”. Erano belli i tempi di quelle frequentazioni del “club”. Quando egli stesso si assideva al tavolo di quella saletta riservata, lontano da occhi indiscreti, le cose sì che andavano bene. Oggi invece la povera Meloni non ha accesso a quella saletta, non essendo invitata dalla padrona di casa. Se è comprensibile la nostalgia proustiana del protagonista, non si capisce tuttavia quali grandi vantaggi siano derivati agli italiani da quelle frequentazioni. A cominciare dalla nuova moneta. Certo la parità tra lira ed euro fissata a 1.936,27 non è stata vantaggiosa per gli italiani, che ne hanno fatto amara esperienza negli anni. Ma possiamo escludere che, senza quell’accesso alla saletta riservata, la parità sarebbe stata fissata a 2.936,27? Se non possiamo escluderlo – e in verità non possiamo farlo, perché “al peggio non c’è mai fine” – non ci resta che credere nell’oracolo Prodi. Si può evincere altresì la legittimazione di una concezione ben poco democratica della dinamica politica in seno all’Unione. L’architettura istituzionale europea, già di suo, è molto poco connessa alla “sovranità del popolo” (basta pensare che il Parlamento elettivo è chiamato a “ratificare” le proposte della Commissione non elettiva) e molto più somigliante a una superburocrazia autoreferenziale. Ma se perfino un organo ristretto come il Consiglio cede il suo potere decisionale a un “club” ancora più ristretto, possiamo ben dire che la democrazia ha ceduto definitivamente il passo all’oligarchia, con il compiacimento della sinistra dem, “democratica” a parole in casa d’altri e oligarchica nei fatti in casa propria. Si può evincere, in terzo luogo, la giustificazione di una pratica politica che tradisce lo spirito fondativo dell’Unione. Il Mercato comune prima, la Comunità e l’Unione europea dopo, furono fondati come luoghi di incontro dei popoli europei, al di sopra delle appartenenze nazionali e delle contese partitiche. Nelle istituzioni europee è (o meglio dovrebbe essere) rappresentata l’Italia o la Francia o la Germania, come popolo italiano, francese, tedesco, non già il partito occasionalmente vincente in ognuno dei tre Paesi. L’Unione sovranazionale non può che essere super partes. Stare al di sopra delle nazioni, ma al di sotto delle parti politiche infranazionali, è un controsenso. La presidenza della Von der Leyen va in direzione esattamente opposta. Non si esita a penalizzare l’Italia, volendo “punire” la parte politica del premier italiano. A questa scorretta pratica politica occhieggia Prodi, il quale asseconda, anzi sembra suggerire, l’uso di un criterio restrittivo-punitivo ai danni dell’Italia, da parte dei funzionari di Bruxelles dal grande olfatto. Criterio in voga – in verità – anche in tempi di accesso al bar (vedasi bocciatura di Milano a sede dell’EMA).Si può evincere in quarto luogo la prevalenza del miope calcolo di partito sull’orgoglio nazionale. La Meloni ha osato non associarsi, sia pure tardivamente, alla maggioranza Ursula, ben le sta incorrere negli strali della rancorosa Presidente, la quale da ora in poi eviterà di invitarla al bar. Nessuna parola sul dovere politico della Commissione di rappresentare e difendere gli interessi di tutti gli europei, nel cui novero pare ci siano anche gli italiani. Vae victis! Sembra dire l’ex Presidente Prodi, il quale dimentica tuttavia che in questo caso i “vinti” sono gli italiani.
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