Editoriale

Usa-Cina, can che abbaia…

di Adolfo Spezzaferro -


Can che abbaia non morde, si potrebbe dire. Anzi, vorremmo poter dire, visto quello che sta succedendo nell’Indo-Pacifico. Come se non bastassero le guerre già in atto e il rischio fortissimo di un conflitto aperto tra Israele e Hezbollah in Libano, gli Stati Uniti hanno lanciato una provocazione alla Cina di quelle che lasciano il segno (o forse no). Gli Usa infatti hanno utilizzato il loro bombardiere stealth B-2 Spirit per affondare la nave da guerra in disuso USS Tarawa. La notizia è che il bombardiere ha lanciato un missile nuovo ed economico per abbattere l’enorme nave. Ma gli Usa hanno sfoderato anche il missile antinave a lungo raggio (Lrasm), l’arma d’attacco marittima più avanzata a disposizione, il tutto per affondare una nave da guerra da 40mila tonnellate. Una dimostrazione di forza che è un avvertimento alla Cina: gli Usa possono colpire con armi moderne ma non troppo costose in un eventuale conflitto nello Stretto di Taiwan o nel conteso Mar Cinese Meridionale. Recenti war games, simulazioni di guerra, hanno però indicato che gli Usa esaurirebbero rapidamente le loro scorte di missili antinave a lungo raggio in un conflitto con la Cina. Ma farebbero molto male a Pechino, prima di restare a secco. Tuttavia, la Cina a quanto pare non è rimasta particolarmente impressionata dalla dimostrazione. Forse perché è a conoscenza di un rapporto pubblicato lunedì da una commissione bipartisan del Congresso, secondo cui gli Usa non sono pronti per un conflitto prolungato né con la Cina né con la Russia, tanto meno con entrambe allo stesso tempo. In un’ipotetica guerra con la Cina, il Pentagono potrebbe rimanere a corto di munizioni entro “tre o quattro settimane”. E nel complesso, gli Stati Uniti non hanno armi sufficienti per “scoraggiare e respingere un’invasione iniziale” da parte di potenze come la Cina. “La produzione industriale degli Stati Uniti è del tutto insufficiente per fornire le attrezzature, la tecnologia e le munizioni necessarie oggi, per non parlare delle esigenze di un conflitto tra grandi potenze”, afferma il rapporto. L’esempio che viene fatto a tal proposito è illuminante (e disarmante): “Al culmine dei combattimenti nel Donbass, la Russia ha speso in due giorni più munizioni di quante ne avesse nei magazzini l’intero esercito britannico”. Il problema insomma riguarda anche l’intera Nato. Il rapporto si conclude ovviamente con un appello a rafforzare l’industria militare e ad armarsi il più possibile. Ora, posto che né Pechino né Mosca sembrerebbero intenzionati a scatenare un conflitto mondiale, men che mai con l’impiego di armi nucleari (che peraltro non vengono chiamate in causa dal rapporto del Congresso), possiamo in qualche modo stare abbastanza tranquilli, visto che neanche gli Usa potrebbero far scoppiare la terza guerra mondiale. Al contempo però, a dar retta a quegli analisti che sostengono che nell’arco di tre, quattro anni sia la Cina che la Russia sarebbero pronte a colpire l’Occidente o i suoi alleati (come Taiwan, per l’appunto), si spiega perché il rapporto del Congresso invita caldamente ad aumentare la produzione bellica. Appello esteso dalla Nato anche all’Unione europea, come ben sappiamo. Tuttavia, persino in uno scenario di questo tipo c’è stare abbastanza tranquilli: la Guerra Fredda ci ha insegnato che l’escalation degli armamenti porta a un equilibrio sul fronte della deterrenza. A un “pari e patta” sulla carta che ci dovrebbe mettere al riparo da una guerra mondiale.


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