VISTO DA – Elegia Americana, l’american dream di J.D. Vance
In queste settimane si parla insistentemente delle elezioni americane, dell’attentato a Trump, del traballante futuro del partito democratico e del nuovo assetto repubblicano: un tycoon più agguerrito che mai e al suo fianco il wannabe vicepresidente, il senatore dell’Ohio J.D. Vance. Elegia americana è il film del 2020 diretto da Ron Howard e tratto dal romanzo bestseller di Vance che racconta la sua infanzia e le sue origini. Il 39enne incarna perfettamente il sogno americano: da una famiglia povera e disfunzionale (la mamma ex infermiera caduta nella tossicodipendenza) fino al servizio militare in Iraq, la laurea in legge a Yale, un libro di memorie che lo ha reso celebre, e negli ultimi anni una roboante carriera politica.
Elegia americana (Hillbilly Elegy) mostra il seme di questa scalata, seguendo un J.D. adolescente in preda al malessere, agli abusi della mamma e alle cattive compagnie, fino alla svolta, alla vigilia del colloquio per un prestigioso internship estivo. Ron Howard calca la mano sul melodramma rendendo il tutto molto hollywoodiano (complice il bellissimo leitmotiv di Hans Zimmer) ma consegnando al pubblico un film coinvolgente con diverse interpretazioni degne di nota. Prima fra tutte quella di Glenn Close, trasformata, trasfigurata in Mamaw, la ruvida e sboccata nonna di J.D. che a un certo punto entra a gamba tesa nella vita del nipote portandolo a vivere con sè.
È stata Mamaw a “salvarlo”, come lui stesso ammette più volte: lo ha tenuto lontano da amicizie sbagliate, lo ha protetto dalla pericolosa instabilitá della madre Kimberly (una commovente Amy Adams) e lo ha spronato a studiare e a darsi da fare per costruire un futuro migliore. In realtà l’autore non ha un grande legame con le colline del titolo, le colline di Jackson, Kentucky, è più che altro un riferimento alle radici dei suoi nonni e forse un titolo particolarmente poetico che valeva la pena sfruttare. Ciò che nel film manca rispetto al libro e rispetto alla reale figura di Vance è la visione del mondo e l’ideologia politica. Il sottotitolo del romanzo infatti è “Memorie di una famiglia e di una cultura in crisi”. Howard cancella completamente la critica di Vance a quei sobborghi e a quella umanità disperata. Il contesto disagiato e “scansafatiche” da cui JD riesce a emanciparsi è reso nel film in modo molto più misericordioso e sentimentale (e forse più maturo). Manca tutta la distanza che l’autore prende da quella realtà, espressione di una posizione fortemente conservatrice che da quando è un Maga convinto ha addirittura estremizzato. Quella periferia abitata da persone senza prospettive per Vance è frutto del decadimento dei costumi: è colpa dei sussidi governativi se quei rammolliti-alcolizzati-drogati si buttano via e non riescono a emergere, a farcela da soli. Che poi viene da pensare: se non fosse per quei vissuti degradati che gli hanno fornito materiale umano a sufficienza, non avrebbe avuto altrettanto da raccontare e non avrebbe venduto 1,6 milioni di copie.
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