Cultura & Spettacolo

VISTO DA – Disco Boy battezza il “dietro” di Abruzzese

di Riccardo Manfredelli -


Disco Boy – Giacomo Abruzzese (2023)

E’ un film fisico, di corpi in perenne movimento, spinti allo stremo; un film più di sensi che di parola. E le storie dei due personaggi principali sono legate dal tema delle radici: Aleksei le rifugge, scegliendo di arruolarsi nella Legione Straniera per ottenere il passaporto francese; Jomo se ne fa carico, lottando senza pace contro chi vuole defraudare il suo villaggio nel Delta del Niger.
“Disco Boy”, folgorante esordio dietro la macchina da presa di Giacomo Abbruzzese, premiato alla settantatreesima edizione del Festival di Berlino con l’Orso d’Argento per il Miglior Contributo Artistico, spinge sempre un po’ più su l’asticella della ricerca tecnica, e quindi di senso: nella sua crudezza, la sequenza dello scontro tra Aleksei e Jomo è come schermata dall’utilizzo degli infrarossi, al pari di quando nella tragedia greca le scene più sanguinolente si consumavano oltre il sipario per non urtare la sensibilità degli spettatori.
La costruzione del racconto è netta, per blocchi, come movimenti di una sinfonia: i primi due sono dedicati alle storie dei due protagonisti, e viaggiano in parallelo. Dal terzo in poi, invece, i loro due mondi collideranno fino a tentare una commistione – per interposta persona – sul finale.
Di assoluto pregio l’utilizzo polisemico che Abbruzzese fa dello spazio: il bosco, per esempio, non è soltanto il luogo reale dell’addestramento dei legionari, ma è anche lo spazio della mente di Aleksei, in cui da un certo momento in poi si apre come una crepa che rende quasi indistinguibili la realtà dalle suggestioni dell’inconscio.
Altro elemento fondamentale in “Disco Boy” è la musica: le tracce originali sono del dj Vitalic, nelle parole del regista «una musica che tiene insieme elementi abissali, lirici e melanconici che portano verso la trance e a immaginare tutto il film come una ascensione».
E’ poi una chicca Je ne regrette rien trasformata in un mantra da marcia, in contrapposizione ad Amoreux solitaires (dis moi que tu m’aimes), brano “da licenza”.
Anche la costruzione del cast passa per una serie di colpi di fulmine: per il ruolo di Jomo, Abbruzzese ha scelto l’esordiente gambiano Morr Ndiaye dopo averlo visto nel documentario “Tumarankè” (2018). Udoka ha il volto dell’attrice e attivista ivoriana Laetitia Ky, mentre Aleksey è interpretato dall’attore tedesco Franz Rogowski, già noto in Italia per “Freaks Out” (Gabriele Mainetti, 2021) e “Lubo” (Giorgio Diritti, 2023).
«Franz è un attore che recita con tutto il corpo», ha detto di lui Abbruzzese (conquistato dalla sua performance in “Victoria” di Sebastian Schipper); «nel bosco, con un fucile in mano, è assolutamente credibile».
Una caratteristica comune unisce i tre personaggi “italiani” di Rogowski, infine: l’essere, di fatto, apolidi. Non appartenere davvero ad alcun posto.


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