Caporalato, oltre la metà delle aziende agricole è irregolare
Caporalato, si comincia a fare sul serio senza mollare la presa e, innanzitutto, senza farsi condizionare soltanto dall’urgenza della cronaca e dalla polemica politica. Si muove il ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, che con l’Inps ha messo al centro di un controllo congiunto le aziende agricole delle province di Mantova, Modena, Latina, Caserta e Foggia con il concorso dell’Agenzia per le erogazioni in agricoltura, l’Agea. Perché lo sfruttamento del lavoro, lo dimostrano le più recenti inchieste, è custodito e prospera nelle pieghe neanche troppo nascoste di imprese che operano in zone agricole importanti del Paese, non solo nel Mezzogiorno, e fruiscono di contributi, nazionali ed europei.
Ispezionate in totale 109 aziende agricole. In 62 l’evidenza di irregolarità (il 56,9%). Quasi la metà dei lavoratori era irregolare, un dato che conferma l’allarme, 236 su 505. Tra loro, 3 minorenni e 136 cittadini extracomunitari. Più del 10%, 64, sono risultati i lavoratori “in nero”, 23 erano gli stranieri sprovvisti di regolare permesso di soggiorno.
Alla fine di quest’operazione, sono stati 27 i provvedimenti di sospensione dell’attività delle aziende: 17 per lavoro nero, 7 per gravi violazioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro, 3 per entrambe le ipotesi. E le multe comminate arrivano a poco meno di 500mila euro, mentre 56 persone sono state denunciate: 3 per il reato di intermediazione illecita e sfruttamento lavorativo, 46 per le violazioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro, 6 per inosservanza delle leggi sull’immigrazione, 1 per furto di energia elettrica.
Il dettaglio dell’iniziativa fotografa alcune particolarità, generali e territoriali, che meritano attenzione, fornendo risalto alla indispensabilità di un’azione di sistema. Oltre che sanzionare le pesanti irregolarità, sembra servire il determinante contributo ad una reale inversione di rotta. E’ evidente fin dalla dura cronaca di questi ultimi mesi, infatti, che la battaglia può essere vinta solo se le imprese agricole diventano i primi soldati di questa guerra. E finora, in questo campo, ci sono da registrare propositi e intenzioni.
In provincia di Latina, per esempio, dove è morto Singh Satnam, nei campi ci sono ancora lavoratori stranieri impauriti, non formati né informati sui loro diritti, assunti con contratti stagionali di due mesi. Una “regola”, i due mesi ufficiali per i lavoratori, che nelle cinque province coinvolge quasi il 30% di quelli controllati, 143 su 505.
“Il comparto agricolo – è scritto nella più recente relazione sul contrasto al caporalato disponibile al ministero di via Veneto – si caratterizza per ampi margini di irregolarità, che vanno dalla sotto-dichiarazione delle ore e delle giornate lavorate al lavoro nero, per arrivare, nei casi più estremi, a forme di ricatto e di vero e proprio sfruttamento”.
In questo quadro di analisi del caporalato riveste un importante ruolo la condizione del lavoro femminile, storicamente e tradizionalmente protagonista di alcune produzioni agricole del nostro Paese. La presenza femminile nei campi, ufficialmente minoritaria – secondo l’Inps nel 2022 era donna circa un terzo degli operai agricoli, quota che sale al 32,8% nel caso dei lavoratori autonomi in agricoltura, complessivamente quasi 461mila persone, 319.290 dipendenti e 141.562 lavoratrici autonome – e solo da 60 anni interessata da una parità salariale rispetto a quella maschile, sperimenta vulnerabilità specifiche. La sotto-dichiarazione delle giornate lavorate, per esempio, può compromettere la possibilità di accedere all’indennità di maternità. La situazione diventa ancor più critica per le donne migranti, la cui capacità di reazione rispetto a sfruttamenti e abusi è minore perché inficiata da condizioni culturali, familiari o sociali contingenti. Un problema nel problema, di cui c’è stata spia anche nelle cronache successive alla morte del bracciante straniero a Latina. Un’altra faccia della necessaria battaglia che il governo ha deciso di intraprendere.
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