Taranto (Ita) 15 11 2018 Ad oggi l'azienda conferma di essere determinata a spegnere Taranto mentre i Commissari del Governo, dopo dieci giorni dall'atto di citazione, non hanno ancora depositato il ricorso cautelare d'urgenza (ex art. 700) contro la richiesta di recesso di ArcelorMittal. Ricorso che potrebbe permettere al Giudice di bloccare lo spegnimento.
Ilva immagini di repertorio, foto del 2012 FOTOGRAFIE DI ANSA/DONATO FASANO , nella foto: Fabbrica Ilva
Tre altoforni, meno Cig e sei offerte per il futuro dell’ex Ilva. Ieri si è tenuta la riunione tra il governo e i sindacati sul polo siderurgico italiano. L’incontro è stato presieduto dal sottosegretario alla presidenza del consiglio, Alfredo Mantovano, alla presenza dei ministri al Lavoro Marina Elvira Calderone e alle imprese e Made in Italy Adolfo Urso. In sala, oltre alle delegazioni dei sindacati in rappresentanza dei lavoratori, anche il commissario straordinario dell’ex Ilva Giancarlo Quaranta. In teoria, non ci si aspettava granché dalla riunione di ieri mattina. L’agenda, infatti, prevedeva i “soliti” temi: concessione, prestito ponte, piano industriale e di risanamento ambientale e via dicendo. C’è stato spazio, poi, per la grande questione della cassa integrazione. Che ha causato non poche tensioni tra governo e sindacati. L’amministrazione di Acciaierie d’Italia ha fatto sapere che intende attivare la Cig non più per 5.200 lavoratori ma per 4.700, cinquecento in meno. Il periodo della cassa integrazione si estenderà da luglio di quest’anno fino a giugno 2026 e, secondo i dirigenti, si tratta di un tempo necessario per far ripartire i tre altoforni (oggi sarebbe in funzione solo il numero 4), operazione propedeutica a cogliere l’obiettivo di produzione stimato in circa sei milioni di tonnellate. Il “calendario” prevedrebbe la riaccensione dell’Altoforno 1 a metà ottobre, che poi sarà fermato per manutenzione dopo la ripartenza di quello numero 2, prevista per gennaio prossimo. Per i sindacati una soddisfazione a metà. La Fim-Cisl, con il segretario generale Ferdinando Uliano, ritiene che la diminuzione della quota di operai in Cig “non basta” e che “bisogna ridurla ulteriormente”. Troppi anche per Michele De Palma (Fiom-Cgil): “Abbiamo detto ai commissari che il piano può prevedere la cassa integrazione, ma non può prevedere che una parte importante di lavoratori sia messa in cig, perchè per fare la ripartenza c’è bisogno dei lavoratori. Noi pensiamo che in questa fase il governo abbia la responsabilità di costruire, con i commissari e con le organizzazioni sindacali, una soluzione strategica per il principale impianto siderurgico d’Europa. Non può succedere che a pagare in cassa integrazione siano le lavoratrici e i lavoratori”. Scettica, invece, la Uilm-Uil secondo cui “non ci sono scadenze precise sull’avvio della decarbonizzazione, sulla costruzione dei forni elettrici e dell’impianto di pre-ridotto”. “Stiamo parlando – ha aggiunto il segretario Rocco Palombella – di una lenta e inesorabile agonia che, purtroppo, il governo e i commissari non stanno evitando. Vogliamo parlare di prospettive concrete, di rilancio reale, di sviluppo, di decarbonizzazione, di tutela occupazionale e ambientale e non solo di ammortizzatori sociali”.
Un incontro in chiaroscuro. Già, perché il tema vero è sempre lo stesso. Chi se la prende l’ex Ilva? E alle domande dei sindacati sull’ingresso di nuovi soci e sull’interessamento di altre realtà economiche a subentrare nel capitale sociale di Adi, ha risposto il ministro alle imprese Adolfo Urso. Ci sarebbero sei imprenditori, sei aziende pronte a investire nell’ex Ilva. Offerte da tutto il mondo sarebbero arrivate al governo. Ci sono due aziende indiane (nelle scorse settimane erano circolati i nomi di Steel Mont e Vulcan Green Stee del gruppo Jindal) che si sono fatte avanti dopo la fine dell’avventura, conclusasi non proprio nel migliore dei modi, dei connazionali di Arcelor Mittal. Poi c’è un’offerta che arriva dal Canada (da parte di Stelco), un’altra dall’Ucraina (e con ogni probabilità si tratterebbe di Metinvest che già rifornisce le materie prime). Infine due proposte giunte direttamente dall’Italia. Circola da qualche mese il nome del gruppo Arvedi di Cremona ma oggi si parla di Sideralba e gruppo Marcegaglia. “Noi vogliamo garanzie sui livelli occupazionali. Anche se si fa il bando, e il bando deve essere oggetto di confronto. Noi vogliamo la garanzia degli occupati in tutti quanti gli impianti”, tuona la Fiom-Cgil a cui fa eco la Fim-Cisl che, a proposito dell’eventuale bando, ribadisce che “dovrà contenere la questione occupazionale in tutti i siti e la questione industriale: se queste condizioni saranno assenti per noi ci saranno problemi per ogni tipologia di offerta