La Cina taglia (ancora) i tassi e pompa altra liquidità nel sistema. Pechino sta affrontando un problema che non è per niente da poco. Anzi. È il tema dei temi, dall’altra parte di ciò che una volta si sarebbe chiamata la Cortina di Bambù. E cioè: la crescita del prodotto interno lordo cinese sta rallentando. Si cresce, certo. Ma poco, troppo poco per le ambizioni e le capacità del sistema economico cinese. La People’s Bank of China ha dichiarato che taglierà il tasso reverse repo a sette giorni dall’1,8 all’1,7%. Ma non è tutto. Il tasso primario sui prestiti a un anno cala dal 3,45% al 3,35% mentre l’Lpr a cinque anni diminuisce dal 3,95% al 3,85%. Una mossa a sorpresa secondo molti analisti che, per il momento, non sembra aver riscosso chissà che reazioni entusiastiche dai mercati. Che, invece, si sono fiondati sui titoli Usa ed Ue dopo che la notizia del forfait di Joe Biden dalla corsa alla Casa Bianca si sono iniziate a diffondere in tutto il mondo. La scelta delle istituzioni economiche del Dragone sarebbe da ricondurre ai dati non propriamente esaltanti legati al Pil del secondo trimestre di quest’anno.
La politica dei tassi in Cina è diametralmente opposta a quella portata avanti altrove perché, intanto, Pechino deve affrontare il pericolo (opposto) a quello che vive l’Occidente. Un incubo che si chiama deflazione. E che potenzialmente può avverare il grande pericolo del politburo cinese. Ossia quello della “saturazione” del Pil. Il tutto, in mezzo alla crisi immobiliare che ancora tiene banco in Asia, livelli di vendite che non esaltano la fiducia di imprese e consumatori mentre salgono i livelli di debito del Paese.