Il ritorno di Bagnoli alla sua naturale vocazione turistica
“Rivendico la scelta del Governo di destinare 1,218 miliardi di euro. Gli interventi si concluderanno entro il 2031, e si stima un indotto occupazionale di oltre 10mila unità, tra lavoratori diretti e indiretti”, queste le parole della premier Giorgia Meloni dopo aver siglato insieme a Gaetano Manfredi – commissario straordinario di Governo al Sin Bagnoli Coroglio – il protocollo d’intesa che mira a trasformare il quartiere partenopeo in un polo commerciale, turistico e balneare moderno e rispettoso dell’ambiente.
Grazie allo sblocco dei fondi necessari all’attuazione degli interventi di risanamento e rigenerazione urbana, il sito di Bagnoli, dichiarato nel 2014 ‘di rilevante interesse Nazionale’, sarà oggetto di una totale bonifica di suolo e area marina, con il fine di eliminare cemento, amianto e scarti inquinanti che hanno segnato il travagliato destino di questa pianura nell’area occidentale di Napoli. Estesa su una superficie di circa 249 ettari e affacciata sul mare per altri 1453, con ineguagliabile panorama sul Golfo di Pozzuoli, Nisida, Capo Miseno, Procida e Monte di Procida, l’antica Balneolis, era nota sin dai tempi di romani che ivi trascorrevano le proprie vacanze per l’amenità del paesaggio costiero e, soprattutto, per le proprietà termali delle sue acque, definite nel XII secolo curative e quasi miracolose dal medico e poeta Pietro da Eboli.
La naturale e forte propenzione turistica del borgo non sfuggì all’architetto napoletano Lamont Young, che, già nella seconda metà del XIX secolo, quando la zona ospitava lo stabilimento termale di Balneolo, ideò un progetto dettagliato solo all’apparenza utopico, secondo cui Bagnoli doveva trasformarsi in una piccola Venezia, con alberghi di lusso e strade collegate da numerosi canali, il tutto circondato dal mare del golfo e dalle colline verdeggianti del capoluogo partenopeo. Il progetto non fu però mai realizzato e a cancellare ogni traccia della vocazione originaria del sito fu, nel 1904, la costruzione dello stabilimento siderurgico dell’Ilva, poi Italsider nel 1964, in virtù di una legge speciale per il Risanamento industriale di Napoli concepita da Francesco Saverio Nitti.
Gli unici canali tracciati su quel suolo non furono quelli del Rione Venezia, bensì quelli di scolo delle fabbriche, laddove, quelle fonti termali, un tempo sede di un fiorente turismo termale, furono cementate per far posto ad un quartiere industriale che avrebbe dovuto dar sostegno a tante famiglie e che, invece negli anni si rivelò dannoso per l’ambiente e per la salute dei cittadini e dei lavoratori: la chiusura definitiva dello stabilimento avvenne solo nel 1985.
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