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Il caso Yara: la docuserie Netflix tra luci e ombre oltre ogni ragionevole dubbio

di Lorenza Sebastiani -


E se Bossetti, dopo tre gradi di giudizio, fosse innocente?

È un periodo in cui si fa presto a creare mostri. L’importante è che i cattivi stiano chiusi dietro al cancello, lontani da noi. Fa effetto vedere un “cattivo” piangere per la propria sorte e per la privacy stuprata della propria famiglia, gridare la sua innocenza a 6 anni da una condanna di ergastolo in Cassazione. L’Identità ha visto in anteprima la serie tv in cinque puntate Il caso Yara: Oltre ogni ragionevole dubbio, che sarà disponibile su Netflix dal 16 luglio.

Alla visione si parte colpevolisti, e alla fine si comincia a comprendere la potente influenza del circo mediatico in cui tutti noi siamo immersi e in cui alla fine, ogni caso di cronaca nera, diventa un caso di costume, la cui verità non è mai solo una.

La serie porta alla luce numerosi dettagli che mettono in discussione la colpevolezza di Massimo Bossetti, attualmente condannato all’ergastolo e detenuto nel carcere di Bollate. La narrazione parte dallo sconcerto iniziale della gente di Brembate, dove la scomparsa della tredicenne Yara, ritrovata tre mesi dopo in un campo di Chignolo d’Isola, scosse profondamente la comunità. Inizialmente, il primo sospettato fu Mohammed Fikri, 22enne operaio marocchino che lavorava in un cantiere di Mapello, ma le indagini su di lui si arenarono presto.

Il racconto introduce il dubbio anche sulle analisti scientifiche condotte (molto mediaticamente) da uno dei medici legali più noti del paese, Cristina Cattaneo. Nella serie Dalila Ranalletta, medico legale della difesa, critica apertamente le conclusioni della Cattaneo e afferma che le ferite sul corpo di Yara erano talmente enigmatiche da rendere difficile la ricostruzione degli eventi. Questa disputa evidenzia le incertezze e le ambiguità presenti nelle prove medico-legali.

Solo di una cosa si è certi. L’accusa guidata dalla PM Letizia Ruggeri ha affrontato un percorso investigativo travagliato e pieno di dubbi. La ricerca del colpevole sembrava un’impresa senza fine.

La serie sfiora anche teorie alternative, tra cui quella già citata da Roberto Saviano riguardante un potente personaggio locale che avrebbe potuto vendicarsi su Yara, a causa di un litigio con il padre della ragazza, Fulvio Gambirasio. Queste speculazioni aggiungono ulteriori strati di complessità al caso. Il geometra Gambirasio nel 2011 lavorava per la Lopav, un’impresa edile che all’epoca era amministrata da Patrizio Locatelli, figlio di Pasquale, imprenditore considerato coinvolto nel narcotraffico. Ma la pista non viene considerata. E poi ci sono testimoni, più di uno, che parlano, ma poi ritrattano. C’è chi vede due ragazzi aggirarsi per quelle strade il giorno della scomparsa di Yara, ma poi tutto si arena e si ricomincia.

Un aspetto cruciale della serie è il racconto della mastodontica operazione di ricerca del DNA del colpevole, a partire da un campione sugli slip e i leggins della vittima, descritta come l’indagine a più ampio spettro nella storia della cronaca nera italiana, con 25700 tamponi effettuati su tutta la popolazione locale. L’investigazione ha coinvolto migliaia di campioni genetici, culminando nella scoperta di “Ignoto Uno”, poi identificato come il figlio illegittimo di un cittadino del luogo deceduto, Giuseppe Guerinoni.

Le successive indagini genetiche portano all’identificazione di Ester Arzuffi, madre di Massimo Bossetti, che aveva avuto una relazione con Guerinoni. Così Bossetti ha saputo in età matura di non essere figlio di suo padre, cioè dell’uomo che lo aveva cresciuto, Giovanni Bossetti. Le indagini portano alla luce anche i tradimenti della moglie Marita Comi e la scoperta che anche il fratello di Bossetti fosse nato da una relazione extraconiugale. Un terremoto emotivo per l’indagato e la sua esistenza. Una vita straziata davanti ai media e un processo show impietoso, ma a porte chiuse. Porte con molti spifferi però.

Il processo contro Bossetti è stato caratterizzato da un’atmosfera mediatica intensa e restrizioni significative per la stampa, con il divieto di registrazioni audio e video. Questo ha sollevato critiche nell’opinione pubblica sull’equità e la trasparenza del procedimento.

L’avvocato di Bossetti, Claudio Salvagni, ha sottolineato numerose incongruenze nelle indagini, come il ritrovamento del DNA di Silvia Brena, l’insegnante di ginnastica di Yara, sul giacchetto della vittima, e gli iniziali sospetti sul gestore della palestra. Tutti dubbi chiariti formalmente, ma su cui i buchi neri non sarebbero mai stati illuminati del tutto. Inoltre, il famoso video in cui il furgone di proprietà di Bossetti sembrava passare per ben 16 volte, la sera del delitto, intorno al comprensorio sportivo in cui Yara si trovava, alla fine, era un falso. Una prova descritta apertamente come “manipolata” dagli stessi inquirenti per influenzare l’opinione pubblica. Nella serie il comandante dei RIS Giampiero Lago la descrive come “una prova data ai media, che poi ne hanno fatto l’uso che volevano”.

Un altro punto controverso è la distruzione di 54 campioni di DNA, nonostante le richieste ripetute della difesa di poter rieffettuare il test su Bossetti. In pratica erano disponibili ancora ampie forniture di DNA (inizialmente negate dagli inquirenti) su cui poter rifare il test, ma sono state danneggiate nel passaggio dall’ospedale San Raffaele di Milano all’ufficio corpi di reato del Tribunale di Bergamo, passaggio effettuato su decisione della Ruggeri, rendendo così impossibile il loro utilizzo.

Per questo la pm Ruggeri è stata indagata a Venezia nel 2022 per presunto depistaggio e frode processuale.

La serie Netflix getta luce su molteplici aspetti oscuri e controversi del caso, sollevando dubbi significativi sulla colpevolezza di Bossetti e sulle modalità con cui è stata condotta l’indagine. E questo è ancora più inquietante del mostro stesso.


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