Paese che vai, debito pubblico che trovi
A20-03/10/96-NAPOLI.POL: ITALIA-FRANCIA; VERTICE NAPOLI. Le bandiere di Italia, Francia e dell' Unione europea sulla facciata di Palazzo Reale in piazza del Plebiscito a Napoli in occasione del vertice italo-francese. PAL CIRO FUSCO / ANSA
Paese che vai, debito pubblico che trovi. L’Italia se lo ritrova sempre più gigantesco, la Francia adesso scopre che può finire paralizzata tra le sue spire. Bankitalia ha diramato, ieri mattina, i dati legati al debito pubblico nazionale. Che è salito fino a lambire la soglia dei 3mila miliardi di euro. Per la precisione, secondo gli analisti di Palazzo Koch, lo Stato italiano, a maggio, ha un passivo stimato in 2.918,9 miliardi di euro, in aumento di 13,3 miliardi rispetto al mese precedente. Un ammanco superiore dovuto, stando ai conti degli economisti della Banca d’Italia, all’aumento del fabbisogno delle pubbliche amministrazioni (che ammonta a 11,5 miliardi) a cui va sommato l’universo dei titoli: l’effetto complessivo degli scarti, dei premi all’emissione e al rimborso, la rivalutazione indicizzata all’inflazione, la variazione dei tassi di cambio. Tutto ciò pesa per poco più di 2,1 miliardi. A mitigarne il peso, però, è intervenuto la riduzione della liquidità del Tesoro che incide per 0,3 miliardi. Le entrate tributarie a maggio sono state pari a 43,3 miliardi di euro (ben 2,9 miliardi in più rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso) mentre, dall’inizio dell’anno, l’Erario ha incamerato 206,8 miliardi facendo segnare, rispetto ai primi cinque mesi del 2023, un aumento del 7,1% (pari a ben 13,7 miliardi) di incassi. Il “maggiore azionista” del debito italiano è il mercato estero che ne detiene il 28,8% a fronte del 23,3% in portafogli alla stessa Banca d’Italia. Famiglie e imprese non finanziarie italiane, i cosiddetti risparmiatori, mantengono un peso specifico elevato nel “capitale sociale” del debito pubblico nazionale conservandone il 14,1%. La “proprietà” del debito rimane fondamentale per comprendere la stabilità di uno Stato e la sua effettiva capacità di scelta. Quello italiano, nonostante le dimensioni enormi, non sembra preoccupare più di tanto al punto che l’agenzia di rating europea Scope ha confermato la sostanziale stabilità degli assetti economici nazionali. Ma questo è solo il rovescio di una medaglia che preoccupa, e non poco, il ministro all’Economia Giancarlo Giorgetti. Che, da settembre, dovrà fare i conti con la madre di tutte le sfide: la guerra al debito. E dovrà farlo tenendo fede alla sua stessa promessa: nessuna manovra lacrime e sangue. Che, oltre a non aumentare le tasse, dovrà pure garantire sostegno alla produttività del Paese.
A settembre, però, Giorgetti non sarà solo a dover fare i conti con l’idra del debito. Toccherà anche alla Francia. Che, archiviata l’ubriacatura elettorale e alla vigilia della grande festa delle Olimpiadi, inizia a preoccuparsi di quello che potrà succedere. La Corte dei conti francese ha lanciato l’allarme: “Ora che la situazione economica si è normalizzata e che l’inflazione si è riassorbita, la Francia si trova in un quadro preoccupante. Il debito pubblico, trainato dal ripetersi dei deficit e dal suo stesso peso, mostra costi di servizio sempre più elevati, che comprimono tutte le altre spese, minano la capacità di investimento del Paese e lo espongono pericolosamente nel caso di un nuovo shock economico”. Gli interessi e i meccanismi sul debito avvolgono in una spira mortale anche la seconda forza economica dell’Ue: “Ora la Francia deve consentire degli sforzi difficili per ritrovare il controllo delle finanze pubbliche e onorare i suoi impegni, sia verso i paesi membri della zona euro che verso le generazioni future, per una strategia credibile che preservi la crescita e la coesione sociale”. Intanto, il Fondo monetario internazionale soffia sul collo di una Francia impaurita e impietrita affermando che Parigi deve proseguire gli sforzi per riportare il deficit di bilancio sotto al 3% del Pil entro il 2027 e indicano nella riforma delle pensioni e dei sussidi di disoccupazione la strada per contenere costi e sostenere la produttività. In pratica, il Fmi ricorda ai francesi si possono dimenticare di tornare alla previdenza sociale pre-Macron (come promesso tanto da Le Pen quanto da Mélenchon).
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