Crisi, l’esordio alla regia di Ingmar Bergman
Il 14 luglio 1918, nasce Ingmar Bergman, considerato da molti uno dei migliori registi della storia del cinema. Nel corso della sua lunghissima carriera ha diretto i capolavori come Persona, L’ora del lupo, Sussurri e grida, Il posto delle fragole, Il settimo sigillo e Fanny e Alexander, il suo ultimo lungometraggio, vincitore del Premio Oscar. L’esordio alla regia avviene nel 1946, con Crisi.
Una commedia sentimentale per conquistare il grande pubblico.
La trama di Crisi
Nelly, una giovane di circa diciott’anni, vive in un piccolo villaggio sulla costa, insieme a Ingeborg, sua madre adottiva. Nel piccolo villaggio arriva Jenny, la madre biologica di Nelly, una donna di città del tutto diversa da Ingeborg. Nelly è affascinata da Jenny e decide di trasferirsi con lei in città, per lavorare nel suo salone di bellezza.
“Avrei sicuramente tratto un film anche dalla guida del telefono”
Ingmar Bergman non ha ancora trent’anni, quando la Svensk Filmindustri gli propone di dirigere un film tutto suo. Bergman, all’epoca, già ha lavorato con la casa di produzione in qualità di aiuto regista e sceneggiatore e alle spalle ha una discreta carriera teatrale. Il suo sogno è diventare regista cinematografico e quando arriva la proposta accetta, nonostante non abbia nessuna libertà nella scelta del soggetto.
I produttori della Svenska Filmindustri hanno acquistato i diritti della commedia La bestia umana di Leck Fischer e accollano a Bergman il compito di scrivere la sceneggiatura, lavoro da terminare in meno di un mese. Le condizioni, dunque, per il giovane regista esordiente non sono certo favorevoli, ma accetta, il desiderio di cimentarsi con la regia è troppo forte: “avrei sicuramente tratto un film anche dalla guida del telefono”.
Crisi: una commedia sentimentale
È il questo contesto, non certo facile, Ingmar Bergman scrive e dirige Crisi, il suo primo film. Una commedia sentimentale, un po’ melodrammatica, come tante pellicole coeve girate in Europa e in America. Insomma, per il regista esordiente non ci sono alternative: per diventare un cineasta deve per prima cosa misurarsi con un genere di consumo, come la commedia. D’altronde, così facendo può assicurarsi un buon successo al botteghino. Purtroppo, per lui le cose sono andante diversamente.
Crisi viene distribuito in diversi paesi, in Svezia, ovviamente, in tutta la Scandinavia e negli Stati Uniti d’America, ma non fu un successo, anzi, un vero fiasco. La critica, invece, nei migliori casi ignora il film, che solo negli ultimi decenni sta rivalutando la pellicola, individuando alcuni interessanti accenni ai temi cari al regista, successivamente trattati con uno sguardo molto più profondo.
Il fascino e il pericolo della città
Il film inizia con una voce off che ci presenta i protagonisti di un dramma straziante, almeno secondo il narratore. Crisi, però, è sostanzialmente una commedia sentimentale, con la giovane Nelly contesa dal buono e affidabile Uff (Allan Bohin) e dallo scapestrato Jak (Sting Olin), amante di Jenny (Marianne Lofgren).
In questo triangolo amoroso la bella e giovane Nelly, interpretata da Inga Landgrè, sembra in balia dei fatti, non prende decisioni, piuttosto preferisce seguire chi si mostra più intraprendente e così decide di lasciare il tranquillo villaggio, per trasferirsi in città, con la sua madre biologica.
La scelta di Nelly introduce uno dei temi centrali della pellicola: il fascino e i pericoli della città. La prima parte di Crisi si svolge nel tranquillo e piccolo villaggio sulla costa, dove l’arrivo di una forestiera, come la spregiudicata Jenny, non può che creare scompiglio. Il film, poi, si sposta in città, mostrata con una fotografia inquietante, sentore di pericoli imminenti.
Il passaggio tra le due diverse location avviene in maniera forte, decisa, senza ricorre a pause intermedie. Una scelta forse voluta, probabilmente dettata da uno stile ancora acerbo, ma già capace di esprimere la magistrale creatività del maestro del cinema svedese.
Ingmar Bergman decide di iniziare con un ritmo scanzonato, narrando la quotidianità del villaggio. Nulla sembra turbare la vita della giovane protagonista. Dopo poco, però, quando si organizza una piccola festa, alla presenza delle maestranze locali, ecco l’elemento di disturbo. Jak, che ha seguito la sua Jenny, crea scompiglio per attirare l’attenzione della giovane Nelly e tutto cambia.
La spensieratezza dei primi minuti, dove il regista fa spesso e volentieri uso di gag fisiche, tipiche della comicità del cinema muto, come la divertente e innocua scazzottata sul pontile tra Jack e Uff, viene sostituita da un registro molto più inquietante.
Quando Nelly giunge in città, la fotografia diventa cupa, la luce naturale e calda del sole è sostituita da un’altra fredda e artificiale. Ma soprattutto, il regista utilizza uno stile del tutto diverso. La città, nell’intessitura del film, rappresenta il pericolo, la perdizione e la morte e Ingmar Bergman fa ricorso a inquadrature con un taglio ansioso e stilizzato. È in questa prassi che il regista sembra evocare l’espressionismo, per poi sconfinare nel surrealismo in una sequenza onirica, poco riuscita.
Crisi non è certo un capolavoro, ma in questo suo esordio alla regia Ingmar Bergman cerca di fare il possibile per accennare, nelle rigide condizioni imposte dalla produzione, i temi a lui cari. La riflessione sul rapporto Uomo – Dio è assente, ma troviamo, sebbene solo abbozzato, un interessante discorso sul destino e sulla maternità, affrontati con uno sguardo innovativo e mai banale.
Tra le righe di questa opera prima, per certi versi deludente, è percepibile il genio del suo autore, la propria immensa padronanza del linguaggio cinematografico e il coraggio di confrontarsi con un genere a lui lontano.
Infine, tralasciando il valore artistico della pellicola, il primo film diretto dal maestro svedese, oggi, ci può risultare molto utile per fare un confronto, per nulla esaustivo, ma in ogni modo significativo, tra il sistema produttivo europeo e quello statunitense. Solo qualche anno prima, dall’altra parte dell’Atlantico, il ventiseienne Orson Welles gira, il suo primo film, Citizen Kane, il film più bello della storia della settima arte.
Orson Welles, a differenza di Ingmar Bergman ebbe una totale libertà creativa. Questo, ovviamente, non significa che il cinema europeo non fosse libero, tutt’altro, basti pensare ai film surrealisti di Luis Bunuel, realizzati circa vent’anni prima, ma evidenzia una maggiore conoscenza, da parte dei produttori americani, della macchina cinematografica, premessa essenziale per il definito controllo del mercato mondiale da parte degli statunitensi.
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